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L’Italia rischia di fare la fine della Grecia secondo Standard & Poor’s

Da:
Fabio Carbone
Pubblicato: Jul 28, 2019, 07:58 UTC

L’Italia rischia di fare la fine della Grecia secondo Standard & Poor’s. Ecco cosa potrebbe portare l'Italia sull'orlo del baratro economico.

Standard & Poor’s

Standard & Poor’s mette le mani avanti sulla situazione economica italiana, e avverte che seppure al momento non vi è nessuna criticità o scenario di crisi del debito pubblico italiano, nel caso in cui i decisori politici dovessero scegliere misure poco ortodosse o introdurre “una valuta parallela o misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati Ue – l’adesione dell’Italia all’area euro potrebbe essere messa in discussione.”

Se ciò si dovesse verificare, avverte l’agenzia di rating americana, per l’Italia si profilerebbe uno scenario di crisi della fiducia simile a quello vissuto dalla Grecia nel giugno del 2015, che portò il paese ellenico al commissariamento europeo e a sottostare a vincoli speciali per lunghi anni.

Gli effetti a catena causati dalle frizioni con l’Ue

Secondo l’analisi di Standard & Poor’s l’attuale governo, dopo le elezioni politiche del 2018, avrebbe “velocemente congelato le modeste iniziative di riforma” e sarebbe passato a una politica di contrasto alla Commissione europea infruttuosa e pericolosa per l’economia italiana. Aprire una controversia con le istituzioni europee, infatti, crea effetti a catena sul settore privato dell’economia, “comprese le basi di finanziamento del sistema bancario”.

In parole povere, una Italia di cui più nessuno ha fiducia non riceve finanziamenti e investimenti, le banche entrano in crisi, il sistema produttivo nazionale esporta meno, si riducono i consumi, si va in default.

Questo quanto accaduto alla Grecia, che però va sottolineato rappresenta solo il 2% del Pil dell’Euro zona, mentre l’economia italiana rappresenta ben il 15% del Pil Ue.

Il debito eccessivo e la leva della crescita

Prima dell’avvento dell’euro, in casi estremi un governo poteva attuare politiche monetarie autonome come la svalutazione della propria moneta per consentire al sistema economico nazionale di essere più competitivo sul piano internazionale.

Con l’euro questo non è possibile, la politica monetaria è comune e gestita dalla Banca Centrale Europea.

All’Italia come agli altri 27 membri Ue non resta che attuare politiche volte alla crescita del Pil, attraverso gli investimenti e l’applicazione di riforme che favoriscano l’economia.

Se l’Italia, quindi, non attuerà politiche economiche rivolte alla crescita, il rating sovrano dell’Italia verrà valutato negativamente sul piano delle prospettive future.

Non facciamoci illusioni sul debito pubblico italiano, nei prossimi anni vi sarà un lento aumento, accompagnato da “un’ulteriore riduzione della leva finanziaria nel settore privato”.

Perché l’Italia cresce poso secondo Standard & Poor’s

L’analisi di Stadard & Poor’s sul perché l’Italia cresce poco ed è cresciuta poco nell’ultimo decennio, si concentra sui seguenti punti:

  1. dal 2010 i prestiti bancari hanno subito un forte rallentamento;
  2. il settore privato ha imboccato la strada del risparmio invece dell’investimento;
  3. il mercato del lavoro e il tessuto produttivo sono rigidi e frenano l’ingresso di nuovi attori e gli investimenti.

L’Italia in stagnazione nel 2019

Il giudizio sulla stagnazione dell’Italia nel 2019 è già stato espresso dal Fondo monetario internazionale, e dall’Ufficio di bilancio del parlamento italiano.

A questi giudizi si associa anche l’agenzia di rating S&P che prevede una ripresa del +0,6% a partire dal 2020. Ciò se, conclude il report di S&P, la politica italiana applicherà politiche ortodosse, perché se dovesse continuare sulla strada dell’attuazione di misure non ortodosse, il rischio Grecia due si potrebbe materializzare, ma questa volta in un paese dell’area euro di peso e che potrebbe avere conseguenze sistemiche vaste.

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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