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Imprese italiane pessimiste. Ci aspettiamo recessione entro un anno

Da:
Fabio Carbone
Pubblicato: Aug 4, 2019, 07:40 UTC

Le Imprese italiane sono pessimiste. Ci aspettiamo una recessione entro un anno al massimo, rivelano intervistate da Intrum.

Imprese italiane

Le imprese italiane non nascondono il loro pessimismo nei confronti del prossimo futuro dell’economia italiana. Il 65% di loro teme che il nostro Paese sia già in una fase di recessione, mentre per un ulteriore 11% delle imprese, l’Italia entrerà in una fase di recessione entro un anno.

Siamo quindi la nazione più pessimista d’Europa, secondi solo alla Grecia. Questi i risultati della ricerca condotta da Intrum e riportata dall’Ansa.it. Intrum, tra i maggiori operatori europei nei servizi al credito, ha condotto lo studio sulla base di un campione di 11 mila imprese dislocate in 24 Paesi europei, 600 imprese del campione rappresentavano l’Italia.

A essere ottimisti, solo il 10% delle imprese italiane consultate, per le quali l’Italia non vivrà un altro periodo di recessione.

Come si difendono le imprese italiane

L’indagine Intrum rivela anche quali strategie mettono in campo le imprese italiane per difendersi dalle fasi critiche. Il 55% di esse ridurrà molto probabilmente le spese del 40%, e farà meno ricorso al credito riducendo quindi gli investimenti.

All’opposto un 21% delle aziende italiane prospetta che, in caso di nuova recessione, aumenterà gli investimenti e le spese per incrementare l’attività di sviluppo delle attività di vendita operativa.

Ed ancora, secondo lo studio Intrum, il 79% delle società italiane ha problemi di perdite sui crediti, una percentuale nettamente superiore alla media europea che si attesta al 46%.

Gli italiani pagano più tasse di tutti in Europa

A gravare sulle imprese italiane e sugli italiani, ci pensano anche le tasse le quali non diminuiscono certo il pessimismo nei confronti del futuro.

Secondo lo studio della Cgia di Mestre appena pubblicato, gli italiani nel 2018 hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto all’ammontare complessivo medio versato dai cittadini degli altri Paesi Ue.

Tale differenziale, scrive il centro studi della Cgia di Mestre, pesa sull’Italia per il 2% del Pil.

Se dividiamo il dato numerico per il numero di italiani, risulta che “abbiamo corrisposto al fisco 552 euro in più rispetto alla media dei cittadini europei”.

Una pressione fiscale elevata, che si tramuta in minori spese da parte dei cittadini, una minore spesa incide negativamente sui consumi e di riflesso sul sistema produttivo italiano: la domanda interna diminuisce. Se all’opposto, si potessero trasformare quei 33,4 miliardi di euro in acquisti, il vantaggio per il sistema produttivo italiano risulterebbe significativo anche in termini di maggiori posti di lavoro.

Lo scossone della Cgia di Mestre al governo italiano

Non usa mezzi termini la Cgia di Mestre per descrivere quanto sia allarmante il dato evidenziato dallo studio:

“Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato. Con la prossima manovra di bilancio + necessario uno scossone che nel giro di qualche anno riduca di 3 – 4 punti percentuali il peso delle tasse.

Considerata la delicata situazione dei nostri conti pubblici, tale intervento sarà praticabile solo ed esclusivamente se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali. Operazione, quest’ultima, che appare difficilmente perseguibile.

A confermarlo sono i risultati ottenuti in questi ultimi 10 anni. Tutti gli esecutivi che si sono succeduti si sono cimentati con grande determinazione sul versante della spending review; gli esiti, però, sono stati insoddisfacenti.”

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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