Quali scenari per l’industria italiana? Dazi USA, produzione industriale da ripensare, innovazione tecnologica da implementare nei processi industriali.
Quali scenari per l’industria italiana? Una domanda secca e che intrinsecamente chiede quale futuro per il settore industriale italiano.
Sappiamo che la sfida incombente è quella posta dalla politica economica protezionista degli Stati Uniti, ma altri fattori alla lunga risultano essere più incisivi sulla robustezza del nostro sistema industriale.
La produzione deve passare per l’innovazione, per gli investimenti in ricerca. Le industrie devono capire che trasformarsi in produttori e consumatori del proprio fabbisogno energetico è strategico per la sopravvivenza dell’attività imprenditoriale sul lungo periodo.
Dunque quali scenari per l’industria italiana? Partiamo ovviamente dai dazi di The Donald, il presidente degli USA, per poi allargarci ai problemi che azzoppano lo sviluppo industriale nel nostro paese.
Senza parlare di dati percentuali sui dazi USA applicati all’Unione europea (sono oggetto di una trattativa che ben presto giungerà a termine con un risultato, dunque qualsiasi numero sarebbe obsoleto per il lettore), è un fatto che la politica commerciale aggressiva verso l’estero dell’amministrazione USA guidata da Donald Trump sta minacciando l’industria continentale e quella italiana.
Inutile ricordare che esiste il WTO, di fatto è un organismo morto e a cui nessuno ricorre per dirimere controversie commerciali internazionali come quella in atto. Trump ha dichiarato una guerra mondiale contro tutti, anche se sul piano commerciale e dunque non esistono regole ed organismi che le possano far rispettare.
L’ipotesi più accreditata è un dazio del 15% sui beni importati negli USA, uno scenario meno triste rispetto al 30% di dazi minacciati in uno degli ultimi rilanci di The Donald.
Secondo il Centro studi di Confindustria, infatti, dazi al 30% sui beni italiani esportati negli Stati Uniti si tradurrebbe in un dimezzamento dell’export, una riduzione degli introiti di circa 38miliardi di euro e -58% di vendite negli USA.
In termini assoluti vorrebbe dire il -6% dell’export totale e il -4% della produzione manifatturiera.
Dunque dazi al 15% dimezzerebbero i valori sopra riportati, ma comporterebbero comunque una riduzione delle esportazione per il sistema industriale italiano che conta molto sui suoi clienti statunitensi.
Non va poi dimenticato che da inizio anno il valore del dollaro nei confronti dell’euro si è indebolito significativamente, passando da 1,02$ a 1,17$ (dato rilevato il 25 luglio 2025).
La svalutazione del dollaro è già di per se un dazio che pesa sulle esportazioni dall’Italia verso gli USA, perché per gli importatori statunitensi ora le nostre merci costano di più.
In termini percentuali è come se il mercato valutario avesse già imposto agli esportatori italiani un dazio del 12,82% dal primo gennaio 2025.
Per uscire da questa logica servirebbe un atto politico forte e di strategia industriale.
Partiamo dalla strategia industriale. Le industrie italiane devono guardare ad altri mercati, potenziare i legami con paesi ex-USA promettenti e con cui hanno nulle o scarse relazioni commerciali. Bisogna guardare a quei mercati dove è in corso un lento, ma inesorabile sviluppo economico: India, paesi dell’Asean, paesi dell’America Latina, Africa.
Sul piano politico è l’Italia in unità con l’Unione europea che devono fare scelte storiche. Bisogna suggellare nuove alleanze economiche, creare nuovi mercati di scambio con altre aree geografiche. Solo così sarà possibile emarginare le politiche protezionistiche degli Stati Uniti e imporre loro un ritorno al libero scambio.
Nei fatti, gli USA non possono più essere considerati un partner economico affidabile.
Da più parti si è puntato il dito sulle limitazioni e gli ostacoli alla libera circolazione delle merci nel mercato interno europeo. Il Centro studi di Confindustria elenca gli ostacoli da abolire:
Poi arrivano le colpe dell’Italia, un paese privo di una strategia industriale e che non investe adeguatamente sull’innovazione tecnologica degli impianti.
Infatti, mentre da una parte possiamo annoverare campioni nell’innovazione industriale e nella capacità di sviluppare tecnologie altamente competitive, dall’altra abbiamo troppe imprese di media e piccola entità che fanno fatica già solo a comprendere l’importanza di rinnovarsi decennio dopo decennio.
Dunque dove e come può migliorare l’industria italiana?
La produzione industriale aumenta quando c’è richiesta di determinati beni, lo sappiamo. Ma è anche vero che la produzione aumenta quando tali beni si producono in Italia e non da qualche altra parte del mondo.
Portiamo qui un esempio di elettrodomestico di nuova generazione di cui c’è domanda anche in Italia, parliamo del robot aspirapolvere e lavapavimenti.
Secondo il report di Frost & Sullivan di metà 2025, principali produttori e venditori di questi elettrodomestici sono Dreame Technology, Ecovacs, Roborock, Narwal. Tutti accomunati dall’essere imprese cinesi che producono in stabilimenti non installati in Italia.
Ecco come aumentare la produzione industriale in Italia, producendo qui quei prodotti innovativi di cui le persone hanno bisogno. Non necessariamente bisogna puntare alla quantità è possibile anche puntare più sull’eccellenza tecnologica dei prodotti.
A tal proposito, tornando ai robot domestici, quelli di prossima generazione sono già collaborativi, lo dimostrano il modello Dreame Cyber e il Roborock Saros 10R, citati nel 2025 Global Robot vacuum market di Frost & Sullivan, i quali sono dotati di bracci robotici per il sollevamento e la riorganizzazione di determinati elementi presenti sul pavimento.
L’industria italiana deve riappropriarsi della produzione di beni tecnologici di largo uso, proprio come avvenuto durante il miracolo economico.
Un’Italia basata solo sui servizi e povera di industrie è destinata alla bassa redditività per tutti, investitori compresi.
Per concludere riportiamo qui alcune fonti ufficiali che possono aiutare a comprendere meglio l’industria italiana in questi ultimi anni.
Il primo bacino di dati ce lo offre l’Istat con il sito dedicato Noi Italia, il quale include una sezione dedicata a informazioni utili per capire come sta l’industria nostrana e il settore dei servizi.
Il secondo bacino di informazioni lo offre il Centro studi Confindustria, il quale periodicamente pubblica documenti aggiornati e puntuali che offrono una panoramica sullo stato di salute dell’industria del Bel Paese.
Scrittore web freelance dal 2013, scrive di crypto economy dal 2016 e di fintech e mercati azionari dal 2018. Scrive inoltre di economia digitale.Dal 2018 collabora per FXEmpire.it scrivendo di crypto e mercati azionari con particolare attenzione a Borsa Italiana. Inoltre, cura la pubblicazione di articoli formativi a cadenza domenicale per l'area Formazione del sito di FX Empire Italia.