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Torna di moda il dibattito sulla bad bank italiana

Da
Lorenzo Cuzzani
Pubblicato: Feb 7, 2015, 00:55 GMT+00:00

La creazione di una “Bad Bank” italiana è sempre stata una faccenda controversa e molto discussa. L'idea di provare anche in Italia l'inserimento di un

Torna di moda il dibattito sulla bad bank italiana
Torna di moda il dibattito sulla bad bank italiana

La creazione di una “Bad Bank” italiana è sempre stata una faccenda controversa e molto discussa.
L’idea di provare anche in Italia l’inserimento di un ente finanziario costituito ad hoc per ricevere i crediti anomali, sulla falsariga di quanto avvenuto nel 1988 a Pitssburgh con la Mellon Bank o in Svezia nel 1992 con la Securum, appare più vicina ad essere abbracciata.

I dissesti a stelle strisce e quelli nordici differiscono dall’attuale momento storico-finanziario-economico, sia per motivi strutturali, sia temporali, ma il concetto di bad bank potrebbe risultare una risorsa inaspettata come ammortizzatore finanziario nazionale.

È vero che il precedente italiano non manca, con la “Società Gestione Attività” utilizzata ad hoc dal gruppo Sanpaolo IMI per acquisire il Banco di Napoli, ma è anche vero che lì si trattava di un’operazione che avesse come unico intento quello di recuperare i crediti in sofferenza che avessero determinato un’esposizione massiva, mentre il dibattito attuale volge verso la creazione di un “ente nazionale”, una bad bank italiana che possa avvantaggiarsi anche di aiuti di Stato, ma questo, non per arricchire i banchieri, ma per permettere loro di smaltire le sofferenze e liberare privati e imprese da debiti pregressi e sistemici, alleggerendo di molto il fardello che blocchi perennemente l’economia reale.
La ratio della sua costituzione sarebbe nell’interesse pubblico.

A questo proposito è intervenuto presso l’Assiom Forex milanese, il direttore generale dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) Giovanni Sabatini, sostenendo il progetto di bad bank come orientato a favorire la ripresa, quindi dalla parte dei correntisti, non del mondo bancario, non essendo finalizzato ad aiutare le banche (indirettamente lo sarebbero in ogni caso).
Riferendosi alla bad bank, il suo diktat è chiaro, considerando tale istituto come ”un meccanismo in grado di generare la riduzione del peso delle sofferenze nei bilanci delle banche, che potrebbe aiutare una ripresa più accelerata del credito nei confronti dell’economia. Sarebbe, quindi, una cosa positiva”.

Sul rischio che l’adozione di una simile misura possa essere equiparata agli aiuti di Stato, ed essere bloccata dall’UE, il direttore generale risponde che “ non servirebbe a salvare le banche, come è invece avvenuto nel caso spagnolo e in altri casi europei”, ma per aiutare l’economia.

Non è un caso che questo dibattito sorga in un periodo come quello contingente, che può purtroppo vantare numeri davvero drammatici: secondo la Banca d’Italia, il totale delle sofferenze del sistema bancario era di 45 miliardi di euro nel 2006, di 48 a metà del 2007, di 54 nel settembre 2009, 108 alla fine del 2011 e 181 miliardi alla fine del 2014. I crediti deteriorati, inclusi quelli a imprese o famiglie in difficoltà ma ancora non insolventi, superano i 330 miliardi. Ogni cento euro prestati dalle banche italiane ai propri clienti privati, 18 rischiano di non essere restituiti, se non in ritardo e solo parzialmente.

In una situazione di questo tipo, appare palese come la necessità maggiore sia quella di spezzare il circolo vizioso del credito non riscosso e del debito non riscattato, per permettere al Paese di risollevarsi e trovare una propria dimensione finanziaria.

Il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, parlando al convegno di Italianieuropei, ha precisato che il metodo di gestione dei crediti in sofferenza “può avere varie forme che stiamo valutando”.

Precisamente, queste forme di cui parla il ministro, possono essere di tre tipi.

Il primo è quello più volte valutato dal governo Letta: si crea una società-veicolo che emetta titoli di debito sul mercato, coperti da una garanzia pubblica a favore di chi investa su essi; con i fondi raccolti, la società-veicolo acquisterebbe i crediti deteriorati delle banche a prezzi scontati e li gestirebbe sperando alla fine di ottenere un profitto. In caso di perdite, scatterebbe la garanzia pubblica per indennizzare chi ha investito. In caso di profitto, lo Stato viene pagato per avere offerto il servizio di quella stessa garanzia.

Il secondo tipo è auspicato dal centro studi Astrid: si inseriscono le sofferenze bancarie in pacchetti di titoli che poi potrebbe acquistare la Bce nei suoi nuovi interventi, sempre con una garanzia dello Stato italiano in caso di perdite.

Il terzo tipo consisterebbe in un accordo da fare con Bruxelles sugli aiuti di Stato: un sistema di sgravi fiscali per facilitare l’uscita delle sofferenze dalle banche.

Costituire una bad bank italiana non costituirebbe la panacea di tutti i mali economico-finanziari del Bel Paese, ma sarebbe comunque un utile strumento per debellare l’annoso problema delle sofferenze italiane, permettendo alle banche di liberarsi di fardelli non indifferenti e di meglio recepire il recente QE operato dalla BCE.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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