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Sono i Minibond la risposta al Credit Crunch

Da
Lorenzo Cuzzani
Aggiornato: Dec 18, 2014, 20:18 GMT+00:00

Nel fallace universo finanziario italiano, ricco di imprese incapaci di sostentarsi, strette nella morsa di un “credit crunch” sempre più cogente, vittime

Sono i Minibond la risposta al Credit Crunch
Sono i minibond la risposta al credit crunch

Nel fallace universo finanziario italiano, ricco di imprese incapaci di sostentarsi, strette nella morsa di un “credit crunch” sempre più cogente, vittime di una crisi che hanno subito passivamente, sembra essere arrivata una risposta al grido d’aiuto imprenditoriale: questa cometa potrebbe essere stata innescata dai “minibond”.

I minibond sono semplici obbligazioni, titoli di credito emessi da una società in cambio di un prestito. Come tutte le obbligazioni hanno un tasso d’interesse riconosciuto sotto forma di cedola semestrale o annuale, e una data di scadenza.

Sono stati introdotti dal decreto Sviluppo del governo Monti nel 2012, con l’obiettivo di creare un canale di finanziamento alternativo (per meglio dire, complementare) al credito bancario per le PMI, da sempre problema sistemico che ha assunto dimensioni preoccupanti proprio con l’avvento del suddetto credit crunch.
La disciplina che li regola intende equiparare il regime legale e fiscale sulle emissioni obbligazionarie applicabile alle società non quotate a quello già in vigore per le società quotate.

Il vantaggio per le PMI è che possano emettere bond a medio e lungo termine senza dover più applicare il limite del doppio del capitale proprio fissato dal codice civile e vedendosi riconosciuta, la deducibilità degli interessi corrisposti ai sottoscrittori e delle spese di emissione, anche se entro il limite del 30% del reddito operativo lordo aziendale.
I minibond beneficiano anche del regime di imposta sostitutiva applicato ai normali “corporate bond”, per il quale, in caso di acquisto da parte di investitori stranieri, la ritenuta alla fonte sugli interessi non viene applicata, permettendo all’investitore di essere assoggettato unicamente alla tassazione del paese di provenienza: con il limite che i suddetti investitori provengano da paesi white list, ovvero quelli che assicurino lo scambio di informazioni fiscali e finanziarie.

Il sistema in questione è volto a evitare le doppie imposizioni fiscali. La ratio appare palese: attrarre investitori stranieri, rendendo più appetibile un mercato, quello obbligazionario, alleggerito da stringenti vincoli impositivi.
In un momento in cui il paese necessita di un’iniezione di capitali freschi, l’introduzione dei minibond sembra la scelta più appropriata per soddisfare tale bisogno.

Con successive revisioni, da parte del governo Letta, prima, di quello Renzi, poi, sono state introdotte rilevanti modifiche: in primo luogo, la rimozione dell’obbligo di quotare i bond sui mercati regolamentati, favorendo il collocamento privato dei minibond; in secondo luogo, la possibilità di cartolarizzare le obbligazioni in questione, per agevolare le sottoscrizioni da parte di fondi di investimento, ma soprattutto di società veicolo che si occupino di cartolarizzazioni.
Da qui si evince come l’Italia sia pronta a recepire il quantitative easing in maniera trasversale, permettendo anche a soggetti di dimensioni minori, di beneficiarne.

L’innovazione più importante sta nel fatto che non sia necessario appoggiarsi ad una banca per emettere un minibond; quindi, oltre ad aver tamponato l’emorragia imprenditoriale, lo strumento dei minibond si pone anche come veicolo per aggirare gli ostacoli al credito issati dalle banche, che, nonostante la propria candidatura come advisor per le operazioni in questione, rimangono vigili sul mercato Extra Mot Pro (mercato fiscalmente più conveniente per gli investitori), pronte a proporre ulteriori strumenti finanziari molto simili ai minibond.

La strada verso la semplificazione dell’accesso al credito è stata tracciata: sarebbe davvero assurdo smarrirla per l’ennesima volta.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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