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L’industria italiana dello sci combatte con i cannoni il cambiamento climatico

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Reuters
Pubblicato: Apr 3, 2023, 08:17 GMT+00:00

di Stefano Bernabei ROMA (Reuters) - Il Cimone, un popolare comprensorio sciistico nell'Appennino modenese, ha investito 5 milioni di euro in un impianto per la produzione di neve artificiale prima dell'inizio della stagione invernale per attrezzarsi contro gli effetti del riscaldamento globale sulle proprie montagne. Quei soldi sono stati in gran parte sprecati.

Uno sciatore scia su una pista coperta di neve artificiale sul Monte Cimone

di Stefano Bernabei

ROMA (Reuters) – Il Cimone, un popolare comprensorio sciistico nell’Appennino modenese, ha investito 5 milioni di euro in un impianto per la produzione di neve artificiale prima dell’inizio della stagione invernale per attrezzarsi contro gli effetti del riscaldamento globale sulle proprie montagne. Quei soldi sono stati in gran parte sprecati.

I cannoni da neve si sono dimostrati inutili perché le gocce di acqua che sparano nell’aria hanno bisogno di temperature sotto lo zero e di bassa umidità per trasformarsi in fiocchi, ma fino alla metà di gennaio il termometro non è sceso sotto lo zero.

“Gli impianti erano chiusi, i maestri di sci e i lavoratori stagionali fermi e abbiamo perso il 40% del nostro giro d’affari” ha detto Luciano Magnani, presidente del Consorzio del Cimone.

“Io in 40 anni non avevo mai perso le feste di Natale, mai stati chiusi per Natale. Noi quest’anno siamo stati chiusi fino al 15 gennaio”.

L’aumento delle temperature minaccia l’industria dello sci di tutto il mondo, ma l’Italia, che ha molte località sciistiche a quote relativamente basse negli Appennini e anche sulle Alpi, ne soffre in modo particolare.

Secondo il rapporto di Legambiente ‘Nevediversa’ la percentuale di piste innevate artificialmente è in Italia del 90%, davanti all’Austria con il 70%, alla Svizzera con il 50%, la Francia con il 39%.

L’aumento delle temperature in Europa sta portando alla siccità e difficilmente l’Italia potrà continuare a permettersi i milioni di metri cubi d’acqua che utilizza ogni anno per fare la neve.

Legambiente ha calcolato che il consumo annuale di acqua sulle piste di sci potrebbe presto arrivare a quello che serve in un anno per una città da un milione di abitanti, tipo Napoli.

Anche l’energia per far andare le crescenti batterie di cannoni è enorme.

Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi recentemente ha scritto che per coprire con la neve artificiale l’intero arco alpino si consumerebbe l’energia elettrica di un anno di 130.000 famiglie di quattro persone.

Resistere o cambiare?

L’industria dello sci si trova davanti a un dilemma sempre più incombente: combattere gli effetti delle crescenti temperature confidando nei progressi della tecnologia o cambiare modello di business alla ricerca di fonti alternative di ricavi dal turismo montano.

Mentre climatologi e perfino ricercatori della Banca d’Italia suggerirebbero la seconda strada, la maggior parte degli operatori è riluttante.

“Se viene meno lo sci, vengono meno le fondamenta della realtà socio economica della montagna. La montagna senza gli impianti sciistici oggi si spopola” ha detto Valeria Ghezzi, presidente dell’Anef, associazione degli imprenditori degli impianti di risalita a cui fanno capo circa 1.700 impianti con circa 300 società (90% del mercato).

La posta in gioco è alta. Il settore in Italia direttamente e indirettamente occupa 400.000 persone e secondo i dati dell’Anef genera un giro d’affari, incluso l’indotto, da 11 miliardi di euro.

L’Italia ha circa 220 centri sciistici con almeno 5 impianti di risalita, al terzo posto nel mondo dietro Stati Uniti e Francia secondo il ‘2022 International Report on Snow and Mountain Tourism’. E accoglie il terzo numero più elevato di turisti stranieri alle spalle di Austria e Francia.

L’Italia ha iniziato a costruire gli impianti di innevamento attorno al 1990 dopo due stagioni praticamente senza neve. Ora è un leader mondiale. Uno dei suoi principali produttori, TechnoAlpin, è stato fornitore per i Giochi Olimpici invernali 2022 di Pechino.

“Erano altri tempi, nessuno si sognava di parlare di cambiamento climatico. In quei due anni lì [1988/89-89/90], in cui avrebbero potuto fallire tutte le società di impianti a fune italiani, invece di deprimerci e disperarci, abbiamo manifestato la prima e più grande forma di resilienza al cambiamento climatico: abbiamo cominciato a costruire gli impianti di innevamento”, ricorda Ghezzi.

La tecnologia nel settore è in continua evoluzione. L’ultimo macchinario di TechnoAlpin è in grado di produrre neve a +10 gradi Celsius. L’azienda lo sta testando sulle piste di Bolbeno, la località più bassa d’Italia, a soli 600 metri di altitudine.

Il sindaco, Giorgio Marchetti, ha definito quella neve prodotta “meravigliosa”, rimane al suolo anche con temperature calde.

L’Italia poi non è certo l’unica a fare di tutto per preservare lo sci invernale.

A dicembre nel comprensorio sciistico di Gstaad, in Svizzera, sono stati usati elicotteri per portare neve sulla pista di collegamento tra gli impianti di Zweisimmen e Saanenmoser.

Proteste

Assieme ai tentativi estremi di preservare l’industria dello sci, crescono le proteste degli ambientalisti.

Lo scorso mese cittadini e attivisti per l’ambiente si sono dati appuntamento per protestare contro il progetto per l’innevamento artificiale per l’impianto di Pian del Poggio, uno ski resort in provincia di Pavia.

In Spagna, cinque gruppi ambientalisti hanno chiesto alla Ue di bloccare l’utilizzo di 26 milioni di euro di fondi comunitari destinati a un progetto per unire due stazioni sciistiche sui Pirenei.

Alcuni economisti e climatologi sostengono che il tentativo di mantenere in attività stazioni sciistiche a bassa quota è destinato a fallire e l’innevamento non fa che ritardare l’inevitabile.

“Anche se l’innevamento artificiale può ridurre le perdite finanziarie derivanti da inverni occasionali con carenza di neve, non può proteggere da tendenze sistemiche [del clima] a lungo termine,” scrivono Gioia Maria Mariani e Diego Scalise della Banca d’Italia in un paper a dicembre.

“In questo contesto, le strategie di adattamento basate sulla diversificazione delle attività e dei ricavi della montagna sono cruciali”.

Le Alpi, dove le temperature stanno salendo più velocemente che nella maggior parte del mondo, potranno diventare sempre più attraenti in estate quando le spiagge del Mediterrano e le città diventeranno insopportabilmente calde, prevedono esperti del clima e del turismo.

Secondo Giulio Betti, climatologo e meteorologo del Cnr-Ibe (Istituto per la BioEconomia), “le temperature per sparare la neve artificiale saranno sempre più rare da trovare alle quote più basse, parlo di altitudini tra 1.000 e 2.000 metri” e quegli impianti diventeranno “economicamente insostenibili”.

Bisogna riconvertire la montagna adeguandosi a questa contrazione della stagione, dice.

Un numero crescente di comunità montane lo sta già facendo.

Sui Piani di Artavaggio, in Valsassina, a circa 1.600 metri di altitudine, a poco meno di 100 chilometri da Milano, l’amministrazione comunale di Moggio acquistò 16 anni fa la proprietà degli impianti abbandonati negli anni 2000 per mancanza di neve. Riattivò la funivia ma fece smantellare i vecchi impianti in quota, favorendo l’attività di camminatori, escursionisti, mountain-biker.

Elva, un piccolo borgo montano nella Valle Maira in Piemonte con 88 abitanti, non ha impianti di risalita e ospita scialpinisti ed escursionisti. Ha vinto un bando europeo da 20 milioni di euro di fondi Ue nell’ambito del piano Borghi del Pnrr che il sindaco Giulio Rinaudo ha dichiarato di voler utilizzare per incrementare il turismo ecologico basato su storia, gastronomia e natura.

“Chi ha impianti a fune è legato mani e piedi alla neve”, ha detto Rinaudo. “Noi cerchiamo di diversificare”.

(Editing Sabina Suzzi)

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