Come spesso è capitato negli ultimi anni, il Bel Paese si è spesso collocato negli ultimi posti del ranking europeo, sia a livello economico, sia a
Come spesso è capitato negli ultimi anni, il Bel Paese si è spesso collocato negli ultimi posti del ranking europeo, sia a livello economico, sia a livello finanziario, sia a livello industriale. Quel che emerge da una recente analisi OCSE conferma purtroppo un drammatico continuum nella precarietà di settori fondamentali come il Lavoro e l’Istruzione, comparti strategici per la ripresa della nazione, spesso destinatari di riforme più dall’eco propagandistica, che dall’utilità concreta.
Dal rapporto “Going for Growth” dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico si evince come il PIL pro capite italiano nel 2013 si attestasse su una soglia del 30% in meno rispetto alla media dei primi 17 paesi OCSE, registrando un progresso di 7,3 punti percentuali rispetto al 2007, mostrando come il deficit aumentasse di circa un punto percentuale ogni anno.
L’ente sito nello Château de la Muette ammonisce l’Italia affermando come “la mancata ripresa dalla recessione sta portando il reddito pro capite dell’Italia a scendere ancora più in basso rispetto alle principali economie dell’OCSE”.
Un ammonimento ancora più severo, se si considera che l’organizzazione parigina auspica la soluzione al problema sistemico della riduzione o della mancata crescita del PIL: basterebbe dar continuità alle riforme strutturali operate (dipende sempre quanto intraprese) dopo la crisi e seguire le “migliori pratiche esistenti”, cosicché i Paesi OCSE sarebbero in grado di “ottenere un aumento fino al 10% del livello del PIL pro capite a lungo termine”. Questo si tradurrebbe in un incremento medio di circa 3.000 dollari pro capite.
Il rapporto “Going for Growth” continua, citando nelle criticità italiane, l’annoso problema di un sistema impositivo assolutamente sproporzionato e carico di contraddizioni, fardello di un’economia che difficilmente possa rialzarsi se non rimodulato.
Così tuona l’OCSE: “l’Italia riduca la tassazione sula lavoro”; deve “migliorare l’efficienza della struttura fiscale”, perché “il peso delle tasse per i lavoratori a basso salario è alto, il codice fiscale è troppo complicato e l’evasione è alta”. È necessario ridurre “le distorsioni e gli incentivi a evadere, riducendo i tassi di imposizione nominali elevati e abolendo molte spese fiscali”.
A questo si aggiunge il bisogno di ovviare alla “instabilità della legislazione, anche evitando misure temporanee”.
In conclusione, l’Italia dovrebbe “continuare a ridurre la tassazione del lavoro, quando la situazione di bilancio lo permette, puntando a incoraggiare domande e offerta di lavoro”.
In una situazione che, ottimisticamente parlando, è possibile chiamare interlocutoria, non sorprendono i risultati di un recente sondaggio di “Kelly Services” sulla domanda di lavoro italiano all’estero: la percentuale di unità occupate disposta a trasferirsi oltreconfine raggiunge l’81%!
Un numero che oltrepassa di ben 10 punti percentuale la media mondiale, mettendo in luce un disagio di credibilità di strutture, uffici e soprattutto, sistema paese.
Tornando all’analisi OCSE, il presente report “Going for Growth” prosegue la disamina criticando inesorabilmente l’Istruzione, sentenziando: ”sulla scuola l’Italia investe poco e non è efficiente”. Diktat che non lascia spazio ad interpretazioni, ma anzi, rincara la dose: “l’Italia deve “migliorare equità ed efficienza” del suo sistema educativo, che “ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per migliorare le opportunità per i meno qualificati”.
E, riprendendo quanto detto precedentemente sul deficit di spesa, sostiene che questa sia “scesa ben al di sotto della media”, anche a causa dei diversi cambi, “tre in quattro anni”, al vertice dell’Indire, l’organismo per la valutazione della qualità della didattica.
Appare alquanto palese come la comunità internazionale abbia illuminato, nonostante purtroppo non fossero mai stati oscuri, problemi strutturali di due comparti fondamentali per la crescita, la ripresa e la determinazione di un Paese, quello italiano, che sembra aver interrotto la millenaria tradizione culturale e aver mistificato il primo articolo della Costituzione: quello che statuisce che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.