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Il dibattito sulle popolari continua

Da
Lorenzo Cuzzani
Aggiornato: Feb 24, 2015, 18:44 GMT+00:00

E' molto attuale l'acceso confronto nel mondo bancario, politico e istituzionale, sulla modifica della forma delle banche popolari, da attuarsi con

Il dibattito sulle popolari continua
Il dibattito sulle popolari continua

E’ molto attuale l’acceso confronto nel mondo bancario, politico e istituzionale, sulla modifica della forma delle banche popolari, da attuarsi con decreto legge, per il quale le banche con attivi che superino gli 8 miliardi di euro dovranno assumere forma di S.P.A. nel termine di 18 mesi.

Particolare che fa riflettere è la forma legislativa adottata per disciplinare e piuttosto modificare, una materia, quella bancaria popolare, che necessiterebbe un orizzonte temporale più ampio per la sua modulazione, trovandosi nel paradosso dello stringente limite dei 60 giorni per la sua determinazione, termine in cui il decreto verrà convertito in legge.
Una questione così delicata non può essere trattata in un tempo così risibile.

Questa perplessità è manifestata anche dal presidente del consiglio di sorveglianza di “Ubi Banca”, Andrea Moltrasio, per il quale il decreto legge non lascia tempo per individuare adeguatamente le modifiche strutturali e la modalità del loro inserimento; non contesta, invece, i 18 mesi entro i quali è prevista la trasformazione in S.P.A.

Ulteriori dubbi sono sollevati in merito all’obbligatorietà del passaggio a società per azioni, il cui carattere imperativo è stigmatizzato dal presidente di “Assopopolari”, Ettore Caselli, che ad un’audizione presso le Commissioni Finanza e Attività produttive alla Camera, argomenta: “La trasformazione in S.P.A. delle banche popolari con attivi pari ad almeno 8 miliardi di euro andrebbe prevista non quale obbligo cogente e ineludibile, ma solo quale sanzione per le popolari che non completino un percorso finalizzato a riconoscere, tra l’altro, al voto capitario un ruolo non esclusivo e al voto proporzionale un ruolo non marginale”.

È chiaro l’orientamento di Caselli, in cui traspare plausibilità, se si pensa come la riforma in oggetto intenda slegare dinamiche superate in un’ottica di modernità, ma al tempo stesso dovrebbe mirare alla salvaguardia di una dimensione popolare che assurgendo ad una nuova forma perderebbe una congrua quota di tutela, esponendosi a rischi non indifferenti.
Appare difficile contemperare l’esigenza di una maggiore apertura al mercato, con quella di mantenere un dialogo privilegiato con gli interlocutori storicamente diretti all’universo popolare, come famiglie e realtà territoriali.

Situazione che non è passata sottotraccia, per la quale si è espresso nuovamente Caselli, esortando il governo a non “disperdere” la caratteristica delle realtà popolari, che devono restare public company indipendenti, nonostante la giusta maggiore apertura al mercato che sembrerebbe essere stata “ampiamente soddisfatta” in questi anni, considerando i 9 miliardi di euro di aumenti di capitali realizzati dalle banche popolari nel triennio 2011-2014, completati grazie all’immissione di liquidità da parte di soggetti privati.

Da questi risultati prende le mosse la considerazione per la quale le banche popolari abbiano “l’indubbia capacità” di reperire capitali, in un contesto critico e finanziariamente avverso.
Gli aumenti di capitale in questione hanno anche contribuito alla ricomposizione della base azionaria delle popolari, contenendo queste al proprio interno più investitori istituzionali, arricchendo l’insieme di soggetti interessati.

Il dibattito continua, ma le conclusioni sono sempre le medesime: cambiare struttura ad istituti che abbiano costituito la storia del Paese, che abbiano permesso all’Italia un accesso al credito facilitato, che si siano posti come interlocutori dalla capacità auditiva maggiore e che sono spesso stati portatori di interessi difficilmente rappresentabili, potrebbe diventare un boomerang notevole. Aprirebbe il via alla corsa all’inglobamento da parte di grandi gruppi, di realtà finanziarie enormi che fagociterebbero un sistema che fa della propria realtà dimensionale-strutturale il suo strumento di tutela, forse autotutela, un’autotutela magari poco coerente con il mondo della liberalizzazione e delle dinamiche di mercato evolute, ma ultimo baluardo di una finanza nazionale che da tempo ha abdicato la propria sovranità.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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