Con i trader nuovamente al lavoro in quella che è la prima giornata piena dallo scorso mercoledì, i volumi delle transazioni si mantengono contenuti
Anche la scorsa settimana è proseguito il calo dei prezzi del greggio, con effetti sui mercati globali. Gli indici asiatici hanno toccato il massimo delle ultime 3 settimane, trainati dai guadagni realizzati da quelli statunitensi e dalle nuove regole bancarie cinesi (che dovrebbero portare a un incremento dei prestiti). L’euro ha invece toccato il minimo degli ultimi due anni.
Secondo Bloomberg, i mercati azionari globali stanno per chiudere il terzo anno di fila in rialzo, con le azioni statunitensi a guidare la crescita a due settimane di distanza dall’annuncio della Fed che bisognerà pazientare ancora un poco prima di poter assistere a un rialzo dei tassi. Le nuove regole bancarie in Cina permetteranno agli istituti di credito di erogare maggiori finanziamenti dal momento che hanno abbassato il rapporto fra prestiti e depositi. Oggi il primo ministro della Grecia farà l’ultimo tentativo per eleggere il suo candidato alla presidenza della Repubblica, evitando lo scioglimento del Parlamento e un’elezione generale che metterebbe in serio pericolo il piano di salvataggio internazionale destinato all’economia ellenica.
Per quanto riguarda il Giappone, il paese asiatico è alle prese con diversi problemi dal momento che l’economia sembra non voler rispondere alle riforme e agli stimoli di governo e autorità monetarie, mentre gli investitori stranieri sembrano averne ormai abbastanza dell’Abenomics. Dopo aver acquistato quantitativi-record di azioni nipponiche nel corso del 2013, durante l’ultimo anno gli investitori hanno preferito evitare nuovi acquisti: i flussi in entrata si sono infatti ridotti del 94%, scendendo a 5,7 miliardi di dollari che corrispondono al valore più basso dallo scoppio della crisi finanziaria globale nel 2008. Lo yen ha ceduto altri 15 punti ed è scambiato a 120,45. Gli ultimi dati economici evidenziano che a prescindere dagli sforzi dell’esecutivo per sostenere la crescita dei salari, le multinazionali che tanto hanno beneficiato del deprezzamento della valuta hanno sinora trattenuto in cassa la maggior parte della liquidità addizionale. Secondo un’indagine di Reuters condotta durante la settimana conclusasi il 15 dicembre, le società ad alta capitalizzazione azionaria non sarebbero pronte a rialzare i salari, né a tenere il passo con la crescita dell’inflazione nipponica. E anche quelle più piccole, che danno lavoro alla stragrande maggioranza degli occupati giapponesi, fanno fatica a incrementare i compensi.
Venerdì scorso i dati ufficiali hanno evidenziato che a novembre i salari reali si sono contratti per il 17esimo mese di fila laddove le remunerazioni finanziarie dei dipendenti si sono contratte per la prima volta negli ultimi 9 mesi.
Rimanendo in Asia, stamattina l’Aussie e il Kiwi seguono due percorsi divergenti: l’AUD è cresciuto di 5 punti, riprendendosi dal suo ultimo minimo di lungo periodo, laddove il NZD è caduto di 10 punti fino a 0,7762. Il crollo del greggio sperimentato durante gli ultimi mesi ha indotto gli investitori a evitare gli asset legati al prezzo delle materie prime, mentre si inseguono le voci di un ipotetico taglio dei tassi da parte della Reserve Bank of Australia. Una simile mossa farebbe lievitare il vantaggio in termini di rendimento detenuto dal dollaro neozelandese sulla valuta del suo vicino oceanico.
Il dollaro Usa è ancora nei pressi del suo massimo degli ultimi anni, scambiato stamattina a 90,27 dopo aver toccato un picco settimanale a 90,40 che corrisponde al valore più alto mai raggiunto nel corso degli ultimi 11 anni. Venerdì gli indici di Wall Strett hanno stampato nuovi record grazie all’euforia che si è diffusa fra gli investitori per via della performance sensazionale del Pil Usa nel terzo trimestre 2014. Fra luglio e settembre il prodotto interno lordo a stelle e strisce è infatti cresciuto del +5%, stando a quanto ha rivelato il dipartimento del Commercio. La lettura non fa che rinnovare le aspettative di quanti puntano a un rialzo anticipato dei tassi da parte della Fed; tali speranze sono alla base dell’ultimo rally del dollaro.