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I numeri occupazionali lanciano il rally del dollaro e fanno sperare in un intervento anticipato da parte della Fed

Da
Barry Norman
Aggiornato: Feb 9, 2015, 17:45 GMT+00:00

I trader valutari si stanno ancora godendo i dati superiori alle attese delle buste paga non-agricole Usa di venerdì scorso. Il dollaro Usa si è portato

I numeri occupazionali lanciano il rally del dollaro e fanno sperare in un intervento anticipato da parte della Fed

I numeri occupazionali lanciano il rally del dollaro e fanno sperare in un intervento anticipato da parte della Fed
I trader valutari si stanno ancora godendo i dati superiori alle attese delle buste paga non-agricole Usa di venerdì scorso. Il dollaro Usa si è portato sin quasi al livello di prezzo 95 e nel momento in cui viene composto questo pezzo si attesta a 94,84. Il biglietto verde è lievitato di 118 punti da venerdì pomeriggio, mentre l’euro precipitava di 162 punti sino a 1,1316. Anche l’oro è andato a picco dopo i numeri delle buste paga statunitensi di venerdì, cedendo qualcosa come 30$. Il dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti ha affermato che nell’ultimo mese le buste paga non-agricole sono cresciute di 257mila unità, battendo le aspettative per un incremento di 234mila posti risultanti da un sondaggio commissionato da Reuters. Sono state riviste in rialzo anche le letture di novembre e di dicembre con un incremento complessivo di 147mila nuovi posti di lavoro nel periodo considerato.

Nell’ultimo mese i salari sono cresciuti di 12 centesimi dopo essersi contratti di 5 centesimi nel corso di dicembre. Si tratta di un incremento su base annua del +2,2% (il maggiore da agosto), tanto che per la Fed sarà sempre più difficile citare la bassa inflazione come la ragione per cui sarà necessario ritardare il previsto rialzo dei tassi. Il dollaro ha quindi recuperato le perdite patite giovedì contro l’euro, che ha perso l’1,4% contro il biglietto verde (si tratta della performance peggiore delle ultime due settimane). Il dollaro Usa ha quindi toccato il nuovo massimo delle ultime 3 settimane e mezzo contro lo yen a 119,23. L’euro è invece riuscito a crescere lievemente su base settimanale per la seconda settimana di fila, mentre si diffondevano una serie di voci secondo le quali sarebbe stato per via dell’intervento della Banca Nazionale Svizzera che avrebbe fatto incetta di euro.

Alla vigilia del rapporto sulle buste paga non-agricole Usa, lo yen giapponese aveva realizzato una delle migliori performance a livello globale riuscendo a crescere del +2% dall’inizio del 2015 contro il biglietto verde. La divisa nipponica si attestava a 117,33, in rialzo dal 119,78 di fine 2014 e dai 121,85 dollari dell’8 dicembre scorso (si tratta del minimo degli ultimi 7 anni e mezzo). Il rally dello yen stride fortemente con le perdite patite dalla gran parte delle sue controparti valutarie. Frattanto, il dollaro Usa si è rafforzato contro 23 delle sue 31 principali controparti (dati Bloomberg) sull’onda delle voci di un prossimo intervento sui tassi da parte della Fed. Nel corso della sessione asiatica lo yen si è portato a 118,80 mentre l’euro recuperava 26 punti grazie alla decisione di alcuni trader di portarsi a casa i propri profitti.

Lo scorso 31 ottobre la Banca del Giappone portava a 80 trilioni di yen (682 miliardi di dollari) l’anno il suo programma di acquisto titoli mentre sono rimaste tali le voci di nuove tornate di stimoli dal momento che la terza economia globale mostrava i primi segni di ripresa. Allo stesso tempo, con una mossa a sorpresa le banche centrali di Canada ed Eurozona sono intervenute con nuovi programmi di stimolo, facendo crollare le quotazioni delle rispettive divise. Il dollaro canadese apre le transazioni della settimana a 1,2527 in ribasso di 93 punti dalla chiusura di venerdì.

Tutto ciò lascia pensare che a giugno la Fed procederà al primo rialzo dei tassi. Fino a questo momento i trader hanno monitorato con grande attenzione ogni mossa della banca centrale statunitense nella speranza di carpire qualche informazione sul momento in cui l’istituto rialzerà i tassi dal minimo storico in cui ora si trovano. E dopo gli ultimi dati economici, non a caso i membri Fomc hanno iniziato a parlare di un ormai prossimo rialzo dei tassi nel tentativo di preparare i mercati all’imminente intervento. È da oltre 6 anni che la Fed mantiene allo zero i tassi a breve termine, mentre al momento le aspettative sono per un primo rialzo a partire dalla seconda metà dell’anno.

“La Fed sta finendo tutte le scuse” era il titolo di una nota diffusa dall’analista capo di mercato del Lindsey Group. “Il gioco della Fed di razionalizzare la sua decisione di mantenere allo zero i tassi d’interesse ha ormai perso ogni contatto con la realtà”, aggiungeva poi la stessa analisi.

La Cnbc ha riportato le parole pronunciate venerdì dal presidente Fed di Atlanta Dennis Lockhart secondo cui l’economia Usa sta continuando a crescere a un ritmo tale che giustifica il rialzo dei tassi previsto per la seconda metà dell’anno, anche se la bassa inflazione e la crescita dei salari costituiscono ancora motivo di “preoccupazione”.

Lockhart ha affermato che l’aumento dei posti di lavoro negli Stati Uniti lo convince del fatto che l’economia “ha imboccato la strada di una crescita sostenibile e desiderabile”. Lockhart sostiene che la crescita sarà del +3% nel 2015 e anche nel 2016. Al momento le aspettative di mercato sono per un rialzo dei tassi che avverrà attorno alla metà di giugno. Venerdì scorso Michelle Meyer, economista di Bank of America Merrill Lynch, e Sal Guatieri, economista senior di BMO, hanno pubblicato due rapporti in cui sostengono entrambi che l’intervento sui tassi avrà luogo nel mese di settembre.

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