L’indice del dollaro si mantiene in rialzo grazie al buon momento dell’economia Usa e alle attese favorevoli per il rapporto sulle buste paga non-agricole
Il dollaro australiano è cresciuto da 0,8090 a 0,8130 e ieri nel corso della sessione Usa ha toccato gli 0,8105. Lo yen nipponico è invece passato dai 119,94 dollari Usa ai 119,40 dollari prima di attestarsi a 119,71. Stamattina non è stato pubblicato alcun dato sul Giappone, mentre l’Australia registrava un calo delle vendite al dettaglio e la Nuova Zelanda un balzo verso l’alto nel numero dei nuovi permessi di costruzione. Il Kiwi si è così portato a 0,7835.
Il presidente Bce Draghi ha scritto in una lettera che “il Consiglio direttivo si è impegnato all’unanimità a utilizzare nuovi strumenti non convenzionali facenti parte del proprio mandato”, e che ciò “potrebbe implicare l’acquisto di una serie di asset, fra i quali rientrano i titoli sovrani”.
Le parole del presidente Fed di Chicago Charles Evans hanno invece fatto schizzare le quotazioni del dollaro. Nel corso della serata di mercoledì ha infatti detto che l’economia degli Stati Uniti potrebbe non raggiungere il target di inflazione stabilito dalla Fed al 2% prima del 2018, motivo per cui non ritiene saggio rimetter mano ai tassi prima del 2016. Ciononostante, la maggior parte degli analisti e degli osservatori ritiene che il primo rialzo avverrà nel corso del 2015. Evans è noto per essere un sostenitore di politiche monetarie accomodanti e prenderà parte alle votazioni del comitato di politica monetaria della Fed per l’anno corrente.
Stamattina è stato inoltre pubblicato il dato dell’indice IPP cinese assieme all’andamento dei prezzi al consumo. Il primo ha fatto registrare una contrazione del -3,3% mancando le previsioni della vigilia, a differenza dell’indice IPC che è riuscito a rispettare stampando un +1,5%. Gli analisti intervistati da Bloomberg puntavano infatti a un indice IPC in crescita del +1,5% dopo il +1,4% registrato un anno fa. Diversamente, l’indice IPP era atteso in calo del -3,1% dopo il -2,7% dello scorso anno. Queste letture potrebbero far presagire un nuovo rallentamento della domanda globale, con gli economisti già particolarmente preoccupati per via della deflazione emersa nell’Eurozona. L’indice dei prezzi alla produzione indica la quantità di denaro ricevuta dai produttori per la vendita dei propri prodotti. L’ultimo calo non è che l’emblema dei problemi deflazionistici del colosso asiatico, problemi che il governo ha fatto ben poco per scongiurare.