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Cosa rischia una nazione che non accoglie la crypto industria?

Da:
Fabio Carbone
Pubblicato: May 31, 2020, 08:48 UTC

La crypto industria nei prossimi decenni farà parte del nostro tessuto socio-economico. Ma cosa accadrebbe se una nazione decidesse di non accoglierla?

Crypto industria

Forse si è poco dibattuto il rischio che corre una nazione nel non accogliere all’interno della sua economia, la crypto industria, la quale non si compone solo di exchange dove i trader speculano sui crypto asset vecchi e nuovi per fare tanti soldi e subito. Questo settore sta dando prova di essere molto più ampio, capace di innovare, in grado di essere lungimirante e anche resiliente alle crisi.

In Russia, tra le tante nazioni in cui la crypto industria è mal voluta, il fisco rischia perdite pari a 10 miliardi di dollari annui in tasse, ci dice Coindesk. Perché perdere un così consistente introito economico? Quale nazione, ancor più in questo periodo di pandemia, può permettersi il lusso di perdere 10 miliardi di dollari di tasse?

Eppure in Russia il disegno di legge che potrebbe entrare in vigore, se la Duma lo approverà, renderà la vita impossibile al settore in quel paese.

Il settore, però, ha deciso di far sentire la sua voce e di far conoscere la sua posizione inviando lettere al ministro dello Sviluppo Economico, e ai parlamentari della Duma. Un gruppo di società si è riunito in una sigla, RAKIB, altri hanno inviato proprie lettere indipendenti per far conoscere il mondo della crypto industria alla politica russa ed evitare che essa venga estromessa dal futuro dell’economia e della finanza.

Il paradosso

Perché il paradosso, spiega il parlamentare Anatoly Aksakov che si è fatto promotore e portavoce delle istanze del settore, è che i russi potranno continuare a operare ma dovranno farlo su piattaforme non residenti in Russia e poi dovranno dichiarare i profitti nella Federazione per essere tassati come qualsiasi altro reddito imponibile.

Il futuro del settore in Russia

Sì perché la nuova normativa vieta la nascita di exchange in Russia. I server potranno essere in Estonia o Lituania, ma non nella Federazione. Il nome di domino non potrà esser registrato nel paese, ma potrà esserlo nella limitrofa Georgia: un vero assurdo.

Il secondo paradosso

Nel 2017 il presidente Vladimir Putin annunciò un piano di digitalizzazione dell’economia per restare al passo con i tempi e con le altre nazioni.

Lo sappiamo, il progresso delle società oggi passa anche e in gran parte per la digitalizzazione di servizi, processi, transazioni…

Appare quantomeno bizzarro, quindi, che una nazione che ha un piano di digitalizzazione da concretizzare, vuole però estromettere gli asset digitali quali i crypto asset dal suo processo di innovazione.

La perdita in termini tecnologici

La Russia non è l’unico che vive nell’incertezza dell’accettare o meno la crypto industria. Negli Stati Uniti il dibattito è accesissimo e i recenti sviluppi di TON di Telegram lo dimostrano. La Cina è un altro esempio e poi l’India che per ora sembra voler favorire il settore.

La perdita per le nazioni che estrometteranno questa industria dai loro piani di sviluppo socio-economico sarà grande. Ripetiamo, non bisogna guardare al solo bitcoin, qui il discorso è ben più profondo, ampio.

La decentralizzazione dei servizi è una delle destinazioni a cui approderemo come società: il trasferimento di valore attraverso mezzi di pagamento digitali e decentralizzati; l’uso di strumenti finanziari decentralizzati attraverso cui risparmiare e guadagnare (DeFi); la notarizzazione di qualsiasi contratto su piattaforme blockchain-based.

Questo scenario lo vivremo nei prossimi decenni, ma se una nazione estromette dal proprio territorio la linfa economica che muove il settore, lì non potrà svilupparsi nulla.

Nel tentativo di vietare ai cittadini di investire in criptovalute, solo perché non si è compreso nulla, alcune nazioni nei prossimi decenni potrebbero ritrovarsi in condizioni di seria arretratezza socio-economica.

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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