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AGCOM, piattaforme online FAANG più Microsoft leader mondiali. Cresce gap con piccole

Da:
Fabio Carbone
Aggiornato: Dec 30, 2019, 22:06 UTC

Pubblicato il rapporto AGCOM sulle piattaforme online FAANG più Microsoft, considerate le leader mondiali dei rispettivi settori. Cresce gap con piccole.

Faang

Quanto hanno guadagnato nel 2018 le principali piattaforme online mondiali, cioè le statunitensi conosciute con l’acronimo FAANG e con l’aggiunta di Microsoft? A dircelo è l’AGCOM, che ha pubblicato il primo report dedicato al business online, dal titolo ‘Primo osservatorio sulle piattaforme online’. Ebbene, Alphabet Inc. (Google), Amazon, Apple, Facebook, Netflix e Microsoft hanno totalizzato 692 miliardi di euro di ricavi nel mondo.

Un dato sbalorditivo che, scrive l’AGCOM, rappresenta “un valore quattro volte superiore a quello delle imprese principali di TLC e media tradizionali”.

Il fatturato di queste società statunitensi, deriva per quasi la metà “al di fuori del continente domestico”, mentre le TLC e media company tradizionali non vanno oltre il 15%.

Dipendenti FAANG e Microsoft sono più produttivi

Sempre secondo la ricerca, i lavoratori delle maggiori piattaforme online sono ben più produttivi dei dipendenti delle imprese TLC e media tradizionali. In media i primi producono il 53% in più, con un rapporto esprimibile in 0,7 vs 0,4 milioni di euro per dipendente.

Profittabilità lorda e margine operativo delle piattaforme online

Il report dell’Autorità garante per il commercio e il mercato, presenta anche i dati di profittabilità e di margine operativo di Alphabet e soci.

“In media, le piattaforme presentano una profittabilità lorda del 49% e un margine operativo pari al

21% dei ricavi, corrispondente a 24 miliardi di euro. Ingenti sia le spese sostenute dalle piattaforme

in innovazione (13 miliardi in media nel 2018), sia gli investimenti in asset patrimoniali (195 miliardi complessivi in 3 anni). Molto elevate risultano la redditività del capitale proprio (32% in media negli ultimi 3 anni) e del capitale investito (15% il ROI medio degli ultimi 3 anni). Valori decisamente superiori a quelli rilevati per le principali TLC&Media company e per le oltre 2.000 maggiori imprese italiane”.

Dominio mondiale del web

Il dominio mondiale del commercio elettronico e degli altri settori web è consistente, le piattaforme occupano le prime posizioni e hanno una quota di mercato mai inferiore al 30%. La diffusione tra gli utenti è concentrata, nel senso che gli utenti che usufruiscono di un determinato servizio, si rivolgono quasi esclusivamente alla “piattaforma prevalente”.

I nuovi hanno difficoltà a crescere

Il rapporto mette in luce il forte strapotere delle piattaforme più diffuse e usate, ma anche la difficoltà per le nuove ad entrare nel mercato. Una difficoltà non dettata da pratiche monopolistiche, ma dal volume dei fatturati necessari alla sopravvivenza dell’attività stessa.

Ecco cosa scrive l’AGCOM nel comunicato stampa che accompagna il rapporto:

“Nel 2018, si stima che un’impresa, per raggiungere la soglia di profitto nel mercato mondiale dell’e-commerce, debba realizzare oltre 50 miliardi di euro di ricavi, mentre il break-even point di un motore di ricerca è stimato al di sopra dei 20 miliardi; superiore ai 10 miliardi anche la dimensione ottima minima di un social network non specializzato”.

Chi ambisse a diventare un leader mondiale, potrebbe riuscirvi solo al costo di enormi investimenti. Gli altri, dovranno accontentarsi di nicchie nazionali o internazionali nelle quali inserirsi e provare a sopravvivere.

Concludendo

Questo primo studio, che avrà cadenza annuale, apre una riflessione sull’andamento del commercio online a livello globale, mostrando ancora una volta lo strapotere raggiunto da alcune società e che sono tutte made in USA. Competere nel web è ancora possibilissimo, ma bisogna partire da piccole idee e inserirsi inizialmente in piccole nicchie. Del resto, così hanno fatto anche i fondatori delle FAANG.

Sull'Autore

Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.

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