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Weidmann bacchetta l’Italia

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Lorenzo Cuzzani
Pubblicato: Apr 27, 2016, 17:15 GMT+00:00

I tempi cambiano ma le vecchie abitudini restano. Deve aver pensato questo Jens Weidmann, n.1 di Bundesbank, quando due giorni fa, recatosi a un convegno

Weidmann bacchetta l’Italia

I tempi cambiano ma le vecchie abitudini restano.

Deve aver pensato questo Jens Weidmann, n.1 di Bundesbank, quando due giorni fa, recatosi a un convegno organizzato dall’Ambasciata tedesca a Roma, ha pontificato e sparato a zero sull’intero comparto economico-finanziario italiano.

Non tutto, in effetti.
Comportarsi da padroni in casa d’altri è esagerato anche per chi rappresenti la leadership europea, quella Germania serrafila comunitaria che molto spesso dimentica che le tavole rotonde sono fatte per avere parità posizionale, non struttura gerarchica.

Così, dopo aver elogiato il lavoro tricolore su Jobs Act e fondo Atlante, in modo da essersi assicurato un posto nella memoria del politicamente corretto, ha iniziato un’invettiva precisa e puntuale sul Bel Paese.

Non che non abbia le sue ragioni, il Presidente di Bundesbank.
È noto a tutti come la Germania sia stufa di scontare scelte politiche diverse dalle proprie, né mai è stato fatto mistero di questo.

Prendendo le mosse dalla querelle sugli aiuti di Stato, il banchiere teutonico ribadisce come la Germania si opporrà sempre alla manica larga italiana sul possesso dei suddetti titoli da parte delle banche. Addirittura si spinge oltre, ammonendo il ministro del Tesoro italiano Pier Carlo Padoan, reo di essere “troppo ottimista” e chiarendo di essere in disaccordo sulla condivisione dei rischi bancari.

Nel dettaglio, secondo Weidmann, una siffatta condivisione dei rischi non può prescindere da un’adeguata forma di controllo comune, altrimenti il trend debitorio crescerebbe invece di ridursi.
Al riguardo, infatti, afferma: “ Questo è un punto sul quale ad esempio Pier Carlo Padoan ed io siamo di opinione diversa. Egli ritiene che la condivisione dei rischi e delle responsabilità rappresentino forti incentivi a rispettare le regole e a prevenire comportamenti opportunistici. Su questo punto io non sarei tanto ottimista”.

A questo si aggiunge una stilettata sulla violazione del Patto di Stabilità da parte dell’Italia, colpevole di non aver sempre rispettato le regole: “da quando esiste l’Unione monetaria le regole del Patto di Stabilità e crescita sono state violate da parte di alcuni Stati, tra i quali anche l’Italia, più spesso di quanto siano state oggetto di ossequio”.
Sa di autocritica forzata e solidale l’ammissione immediatamente successiva: “La Germania nel biennio 2003/2004 ha contribuito a indebolire la forza vincolante delle regole”.

Interessante lo spunto sulla materia fiscale, in cui è citato il premier Renzi: “L’anno scorso in occasione della presentazione del bilancio italiano ha dichiarato che la politica fiscale italiana viene fatta in Italia e che l’Italia non permette che essa venga dettata dai burocrati di Bruxelles. In un’unione fiscale questo cambierebbe”.
Aggiungendo che un’unione fiscale “sarebbe il passo più grande nel processo di integrazione dall’introduzione dell’euro a oggi”, alimenta e chiude il paradosso in seno all’Unione Europea.

Un sistema comunitario che vanti omogeneità formale quando sia del tutto scevro da quella sostanziale, è destinato per forza di cose a essere estraneo a ogni forma di integrazione, cominciando da quella culturale, passando a maggior ragione a quella impositiva.

Quel che è certo è che in un’Unione monetaria che dovrebbe essere anche economica, i conti non tornano.
Su questo ha ragione Weidmann, ma forse i suoi predecessori avrebbero dovuto pensarci ventiquattro anni prima.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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