Ormai da tempo si respira ottimismo nel Bel Paese, si abbracciano auspici che sembrano essere beneauguranti, cresce la fiducia verso una ripresa, che, non
Ormai da tempo si respira ottimismo nel Bel Paese, si abbracciano auspici che sembrano essere beneauguranti, cresce la fiducia verso una ripresa, che, non solo sta arrivando, ma è già arrivata. Questo è quanto si evince dagli ultimi dati concernenti l’occupazione italiana, ma è anche vero che i dati vanno contestualizzati e letti per quello che indicano, ovvero segnali risibili di progresso e contingenti in un dato momento.
Ma è opportuno andare con ordine.
Come indicato dall’Istat, finalmente ad aprile si registra una ripresa dell’occupazione, figlia del miglioramento della congiuntura, degli sgravi contributivi a tempo indeterminato e della riforma del lavoro.
Affrancandosi dagli ultimi due mesi negativi, l’aumento in questione ammonta a 159.000 unità di occupati rispetto a marzo, un bel risultato che può essere considerato una buona base di partenza, o per meglio dire, di ripartenza di un’economia, quella italiana, bisognosa di attaccarsi a qualsiasi incremento per risollevarsi.
Al di là degli slogan politici di turno, volati da più parti come encomio al dato progressivo in questione, è bene considerare la situazione nazionale nel suo insieme, approfondendo come e perché si è arrivati a tali dati e cosa questi indichino in concreto.
In primo luogo, si ravvisa come vi sia un segno positivo anche davanti alla disoccupazione complessiva, scesa al 12,4% (-0,2 punti su marzo) e per quella giovanile (-1,6 punti al 40,9%), anche se gran parte dell’occupazione in più è stata individuata tra gli inattivi soprattutto nella fascia più anziana grazie alla stretta delle regole per l’accesso al pensionamento. Si osserva come un tale criterio, per quanto chiaro e fattuale, non sia completamente obiettivo, indicando un campione non irrilevante, ma differente rispetto al target verso il quale è proiettata la politica del Jobs Act, costituendo, il dato in questione, un’ovvia conseguenza di una riforma partita con ben più alte premesse (ci si augura siano rispettate e oltrepassate), per le quali ci vorrà un congruo periodo di tempo per la propria realizzazione.
Coerente con il dato positivo di aprile è quello relativo al primo trimestre del 2015, per il quale l’aumento degli occupati tocca quota 133.000, crescita dovuta alla Riforma Fornero, che ha immobilizzato in ufficio la fascia over 55, sancendo, di fatto, il progresso nel caso di specie (+267.000 al lavoro in un anno, un milione in più dal 2010).
Capitolo disoccupazione trimestrale: si assiste ad una flessione di 0,6 punti percentuali attestandosi al 13%, mentre continua la riduzione dell’inattività. Vi è un’inversione di tendenza al Sud, dove la moria di posti di lavoro è seguita da un aumento tendenziale degli occupati (+0,8%), superiore alla crescita media (+0,6%).
Il quadro delineato può dirsi roseo, ma non bastano dei labili segni positivi per consolidare una ripresa, i cui tempi sono comunque davvero lenti e macchinosi. Per poter parlare di ottimizzazioni strutturali, servono ben altri dati.
Un orientamento, quello di cui sopra, condiviso da più parti, a partire dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, per il quale: “Sono dati che devono essere stabilizzati nel tempo. Tutti i segnali che abbiamo sono in senso positivo, si è ridotta la cassa integrazione autorizzata, è in corso la stabilizzazione dei contratti e gli avviamenti sono sempre più a tempo indeterminato”. Gli fa eco il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il quale esorta alla “prudenza”, stigmatizzando le stime come dati che devono essere “confermati in periodi più lunghi”, precedendo, di fatto, l’opinione del segretario generale UIL, Carmelo Barbagallo, il quale sembra ripetere un concetto ridondante nel mondo istituzionale: ”La valutazione la faremo sul semestre, bisogna vedere i dati strutturali”.
Appare palese come la realtà sia ben lungi dal predicare ottimismo, o meglio, il momento storico attuale necessita di tempo per poter permettere al Paese di riprendersi, o almeno di dimostrare che possa farlo.
Concludendo, è opportuno indicare la concreta situazione italiana, operando un raffronto con l’intera Area Euro, in tal modo è possibile rendersi conto che il Bel Paese sia assai distante dai livelli di occupazione europei, a causa dell’importante percentuale di inattivi tra i 15 e i 64 anni: nel resto del continente la disoccupazione ad aprile è scesa all’11,1% dall’11,2% di marzo (11,7% ad aprile 2014), con il caso più virtuoso rappresentato dalla solita Germania, che può vantare una disoccupazione del 4,7%.
La disoccupazione italiana presenta dei valori inferiori solo a cinque altri Paesi dell’Unione: un po’ poco per uno Stato che voglia rivendicare la propria forza e acquistare credibilità davanti ad investitori nazionali e stranieri.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.