Accade spesso di leggere giudizi disarmanti sull'Italia da parte dell'agenzia di rating di turno, come Moody's, Fitch Ratings, la nostrana Cerved e la
Accade spesso di leggere giudizi disarmanti sull’Italia da parte dell’agenzia di rating di turno, come Moody’s, Fitch Ratings, la nostrana Cerved e la onnipresente Standard & Poor’s (che di recente ha versato 1,5 miliardi di dollari al governo federale statunitense per patteggiare un’accusa di gonfiamento del rating dei titoli all’inizio della crisi): nonostante la loro dibattuta affidabilità, fotografano una situazione tutt’altro che rosea in seno al Bel Paese.
Quel che traspare da un altro tipo di analisi è una rivincita, o meglio, una possibilità di affrancamento dall’alone di diffidenza che incombe sul mondo imprenditoriale italiano, uno strumento che permetta di rendere trasparente la propria adesione alla correttezza e alla probità: il rating di legalità.
Tale tipo di valutazione, fondandosi su principi etici come la trasparenza, l’impatto ambientale, la gestione della governance e l’insieme di assunti contenuti nella teoria della responsabilità sociale d’impresa (CSR-Corporate Social Responsability), in accordo con i principi di legalità, si propone di rappresentare l’impresa in relazione al suo impatto sociale, identificando le sue linee guida e i suoi modelli di riferimento.
La disciplina di riferimento italiana recepisce quanto contenuto nella legge 24 marzo 2012 n.29 (che modifica la n.27, che a sua volta convertiva in legge il d.l. 24 gennaio 2012 n.1 recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività nell’ambito del decreto legge sulle liberalizzazioni), che statuisce i criteri per i quali sia concesso credito alle aziende, siano esse ammesse a ricevere finanziamenti pubblici, affermando anche l’obbligo di motivare la scelta bancaria del diniego creditizio, trasmettendo tale motivazione alla Banca d’Italia.
L’autorità preposta al rilascio di tale documentazione, alle sole aziende che superino i 2 milioni di fatturato, è l’Antitrust, che valuta di volta in volta le domande per il conseguimento della certificazione, giudicando in maniera modulatoria diversi parametri, che possono concorre per contribuire all’ottenimento di una, due o tre stelle.
L’autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ravvisando l’assenza di misure di prevenzione personale o patrimoniale, di provvedimenti cautelari personali o patrimoniali per soci e amministratori, la mancanza di condanne per illeciti in materia di concorrenza sleale e, constatando il pieno rispetto di leggi sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e l’assenza violazioni in materia retributiva, contributiva, assicurativa e fiscale, nonché il possesso di un organo di controllo efficace ai sensi del sistema di governo e prevenzioni richiesto dal D.lgs. 231 del 2001 e la presenza di chiari sistemi di Responsabilità Sociale d’Impresa e in ultimo l’adesione a codici etici di categoria, si pronuncia positivamente attribuendo punteggi diversi a seconda del grado di rispondenza criteriale presente.
In un momento in cui infuri un aspro dibattito sulla legalità è di buon auspicio osservare i dati forniti dall’AGCOM, in relazione alle domande per l’ottenimento del rating di legalità: le richieste in questione sono progredite in numero superiore al doppio nel 2014 rispetto all’anno precedente, anche per la pubblicazione del decreto legge 20 febbraio 2014 n.57, recante disposizioni che impongano di tenere conto del rating per la concessioni di finanziamenti pubblici e privati.
Una crescita sistemica che l’Antitrust registra in continuo divenire.
Causa di un tale aumento è possibile individuarla nell’intenzione di pubblicizzare la sanità della propria azienda e così semplificare l’accesso al credito, come spesso ricordato, vera criticità dell’ultimo decennio.
È anche vero che dal momento dell’entrata in vigore del regolamento Antitrust, il numero di domande si attestò sulle 142, per poi raggiungere quota 402 nel 2014: che i motivi siano nobili, come alti siano i principi a cui si ispiri la CSR, o che siano più cinici e pragmatici, abbracciare criteri di responsabilità sociale segna comunque un punto a favore delle imprese italiane, un modo per guadagnare credito (in senso finanziario e in senso di credibilità) e di presentarsi in modo più attraente al mercato, lanciando la sfida a società e imprese dalle strategie oscure e lontane dall’orizzonte della legalità.
In conclusione, risulta incoraggiante il risultato delle imprese italiane in tal senso, potendo vantare un 50% di rating attribuiti rispetto alle candidature proposte, stimolando l’entusiasmo del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, che ha affermato come la situazione in questione “conferma la validità e l’efficacia di un meccanismo premiale in funzione della trasparenza e della libera concorrenza: questo, insieme alla repressione e alla punizione dei reati, è il miglior antidoto contro quella tassa occulta che è rappresentata dalla corruzione”.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.