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Morgan Stanley scommette contro un QE targato Bce

Da
Barry Norman
Pubblicato: Nov 3, 2014, 16:21 GMT+00:00

I mercati sembrano piuttosto frenetici in vista della riunione Bce di questa settimana, soprattutto dopo la conclusione del programma di acquisto asset

Morgan Stanley scommette contro un QE targato Bce

I mercati sembrano piuttosto frenetici in vista della riunione Bce di questa settimana, soprattutto dopo la conclusione del programma di acquisto asset targato Fed (e durato 6 anni) a fronte di un miglioramento delle prospettive economiche statunitensi. Un paio di giorni dopo, sorprendendo un po’ tutti gli investitori globali, il governatore Kuroda della Banca del Giappone annunciava che l’istituto nipponico avrebbe acquistato titoli per 80 trilioni di yen l’anno, in rialzo dai 60-70 attuali. Questa settimana vedrà riunirsi anche la Reserve Bank of Australia e la Banca d’Inghilterra. Né l’una né l’altra finiranno per attirare troppe attenzioni, benché il governatore Stevens potrebbe tentare di far deprezzare il dollaro australiano, reputato come troppo forte. Stamattina la sterlina è scambiata a 1,5948, del tutto incapace di tenere testa al superdollaro, mentre l’aussie scivola a 0,8712 in ribasso di 86 punti.

Lo yen ha toccato il nuovo minimo del 2014 a quota 113 punti e al momento viaggia a 112,74. Il Nikkei è invece schizzato vero l’alto dopo che la Banca del Giappone ha annunciato di voler incrementare il proprio programma di acquisto titoli nel tentativo di far decollare i prestiti e la spesa privata. Sono 15 anni che il Giappone combatte contro la deflazione (ovvero contro un calo generalizzato dei prezzi), fenomeno che ha fatto arenare del tutto l’espansione economica. Quest’oggi gli istituti nipponici rimarranno chiusi per la Giornata della Cultura.

Venerdì scorso il governatore Kuroda ha preferito non commentare le voci secondo le quali la Banca del Giappone sarebbe scesa nuovamente in campo per scuotere i consumi dopo una decade e mezzo di prezzi in caduta, salari quasi stazionari e crescita altalenante.

Secondo CNBC, venerdì scorso, parlando nel corso di una conferenza dopo la decisione (inaspettata) di espandere il programma di stimoli monetari, Kuroda ha affermato che “è molto importante che la Banca del Giappone si impegni totalmente per raggiungere l’obiettivo di prezzo e che faccia di tutto per coinvolgere i consumatori nell’impresa”. Ha inoltre aggiunto che “limitarsi a reiterare il fatto che prima o poi il tasso d’inflazione toccherà il 2% non è poi così utile per rimuovere dalla testa dei consumatori l’impressione di essere ancora in deflazione”. Al cuore dell’Abenomics del primo ministro Shinzo Abe c’è l’assunto che la previsione di un rialzo dei prezzi al consumo indurrà i consumatori ad anticipare i propri acquisti a tutto beneficio dei consumi stessi. Trattasi di un mutamento epocale nella percezione di un paese abituato alla deflazione e alla possibilità di rimandare gli acquisti dell’oggi per disporre di un maggiore potere d’acquisto domani: nel complesso, un mix di aspettative rivelatosi davvero difficile da scalfire anche per l’allentamento quantitativo senza precedenti lanciato un anno e mezzo fa dalla stessa BoJ.

Come promesso, la scorsa settimana la Fed ha concluso il proprio programma di acquisto asset, pur ribadendo che per il momento i tassi rimarranno invariati anche a fronte del miglioramento dello stato di salute dell’economia nazionale. La decisione della Fed ha portato il dollaro Usa a toccare stamattina quota 87,39. Nonostante il fatto che l’istituto Usa abbia affermato per mesi e mesi che presto o tardi avrebbe concluso il proprio alleggerimento quantitativo, la mossa sembra aver sorpreso in qualche modo gli investitori, molti dei quali negli ultimi tempi hanno sollevato più di un interrogativo circa la solidità dell’economia Usa e la sua capacità di far fronte alla conclusione del programma di stimoli.

I riflettori sono adesso tutti sulla Bce e su Mario Draghi dopo che anche la Banca del Giappone ha indicato qual è la via da seguire se si intende uscire dalla spirale depressiva e dalla deflazione. In realtà l’Eurotower ha davanti a sé una serie di ostacoli politici e pratici tali da complicare enormemente qualsiasi tentativo di replicare quanto messi in campo dalle autorità monetarie statunitensi o nipponiche con i rispettivi quantitative easing. La Bce si riunirà giovedì, anche se è molto difficile che adotterà nuove misure di stimolo: in ballo c’è l’interrogativo circa la capacità di un qualsiasi programma di monetizzazione del debito targato Bce di riportare l’inflazione al target dell’istituto del 2%. Lo scorso mese la crescita su base annua dei prezzi nell’Eurozona è stata dello 0,4%: così, la leva principale per calmierare il costo dei prestiti, far crescere il prezzo degli asset, deprezzare l’euro e rimettere in moto l’inflazione sembra essere solamente l’acquisto di debito, pubblico e privato. L’euro continua frattanto a cedere terreno fino a 1,2466, con i mercati che si attrezzano per far fronte a un’improbabile mossa-Bce.

Elga Bartsch, economista di Morgan Stanley, sostiene che c’è solo il 40% di possibilità che la Bce si decida a varare un vero e proprio allentamento quantitativo. Bartsch ha infatti notato che “gli effetti negativi di lungo periodo sul sistema finanziario europeo di un quantitative easing targato Bce potrebbero essere notevoli” e che “la Bce dovrà calibrare con grande cura ogni annuncio relativo a misure di stimolo addizionali per evitare di gettare nel panico gli investitori, già scossi da indicatori economici fragili e da un’inflazione ai minimi storici”.

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