Il leit motiv del momento, nel mondo della finanza, ma specialmente in quello dell'imprenditoria, è quello della complessità ad investire, figlio della
Il leit motiv del momento, nel mondo della finanza, ma specialmente in quello dell’imprenditoria, è quello della complessità ad investire, figlio della difficoltà ad ottenere crediti e finanziamenti, padre della problematicità al riscatto degli stessi, gonfiati dagli interessi.
Se l’ammontare della stagnazione dei progetti imprenditoriali si attesta sui 197 milioni, solo a livello regionale, allora vuol dire che ad essere in crisi è l’intero sistema paese.
Centonovantasette sono i milioni che un campione di imprese dell’Emilia Romagna, precisamente 172, ha affermato di non poter investire, rispondendo ad un’indagine di Confindustria Emilia Romagna, avente l’obiettivo di analizzare l’impiego di risorse nell’omonima realtà imprenditoriale.
L’indagine pone due interrogativi: il primo si interroga se vi sia miglioramento aziendale da parte dell’imprenditore, così da colmare quel deficit di concorrenza sia a livello nazionale che internazionale, mentre il secondo si domanda se davvero l’abolizione dell’Irap possa costituire quel volano al successo aziendale, quel fardello dismesso che elida completamente ogni tipo di alibi al mancato investimento industriale e/o alla sua effettività.
A dare un quadro esaustivo della situazione, ci ha pensato il presidente di Confindustria Emilia Romagna, Maurizio Marchesini, il quale afferma:” Il primo dato che emerge con chiarezza dalla ricerca è che le nostre imprese continuano a investire ed hanno voglia di farlo: più dell’80% ha realizzato investimenti nel 2013 e prevede di realizzarne nel 2014. Non è un segnale da poco perché lo si registra al sesto anno di crisi e di prolungata recessione e in uno scenario di incertezza”.
Una risposta molto forte sulle intenzioni del mondo imprenditoriale, specie in un momento in cui venga messo in dubbio il “Made in Italy”, sia come marchio, quindi in termini di credibilità, sia come volume di investimenti e raggiungimento di obiettivi.
Tornando alla ricerca, è opportuno considerare qualche numero che permetta di avere una visione più precisa della situazione.
Emerge dalla stessa, come, delle 172 aziende prese in esame, il 4% del fatturato sia destinato ad ammodernamenti che rispondano principalmente a due esigenze fondamentali: la ricerca di efficienza e lo sviluppo di conoscenza.
Nel 2014, però, si assiste ad un calo negli investimenti sia nell’internazionalizzazione commerciale, che in quella produttiva. Ad una riduzione dimensionale, si accompagna chiaramente una diminuzione nella propensione ad investire: una piccola impresa su quattro ha azzerato gli investimenti nel 2013, ripetendo la stessa scelta nell’anno successivo.
I problemi sono sempre gli stessi: deficit strutturale, management non sempre all’altezza, ma soprattutto, difficoltà ad ottenere risorse finanziarie per i propri progetti.
Il dato che appare preoccupante è che in una realtà regionale, ben il 47,5% delle imprese interpellate abbia scelto, per mancanza di possibilità, di non dare seguito a “investimenti straordinari” programmati, rinviandoli all’anno successivo, o addirittura non realizzandoli.
Volendo scendere nel dettaglio dimensionale, è possibile individuare i progetti non compiuti dalle piccole imprese in progetti legati all’ammodernamento del processo produttivo e al miglioramento dei costi e dell’efficienza.
Per quanto riguarda le medie, in stand by ci sono investimenti per innovare processo e prodotto; concludendo, le grandi imprese hanno congelato diversi progetti di internazionalizzazione.
La stima media del “sogno incompiuto” è di 1,1 milioni (che salgono a 2,8 milioni se prendiamo in esame le sole grandi imprese). Per avere un termine di raffronto concreto, riferito alla sola ipotetica tipologia degli investimenti in beni strumentali, 1,1 milioni possono equivalere all’acquisto di 5 nuove macchine o di un sistema integrato.
La situazione, oltre che essere complicata, è assolutamente chiara. Tutti questi mancati investimenti devono la loro natura di incompiuti alla difficoltà di accesso al credito, valutando le banche, come rischioso, concederlo in questo periodo senza garanzie molto, molto, molto solide.
Non è un caso che al Credit Crunch si sia accompagnata la bocciatura tramite stress test, operati dalla BCE, di alcuni istituti di credito italiani, secondo un criterio che giudichi proprio la capacità bancaria di erogare credito.
Si entra in un circolo vizioso: l’UE valuta le banche secondo la capacità di erogare credito, le banche pretendono garanzie quasi impossibili da presentare, le imprese non riescono a fornirle.
In questo modo, si prospetta un sistema di Austerity, che sovrasti l’originaria ratio di controllo, vigilanza e trasparenza, mirante a mantenere o ottenere conti in regola, che paralizzi completamente il sistema, catalizzando ancor di più la ripresa dell’economia reale.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.