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L’Arabia Saudita continua a tenere sotto pressione i produttori USA

Da:
Barry Norman
Aggiornato: Sep 21, 2015, 16:51 UTC

In Asia, nel corso della sessione mattutina, i trader hanno comprato materia prima a basso costo permettendo al petrolio greggio di compiere un breve

L’Arabia Saudita continua a tenere sotto pressione i produttori USA

L'Arabia Saudita continua a tenere sotto pressione i produttori USA
L'Arabia Saudita continua a tenere sotto pressione i produttori USA
In Asia, nel corso della sessione mattutina, i trader hanno comprato materia prima a basso costo permettendo al petrolio greggio di compiere un breve balzo, per un rialzo di 33 centesimi che porta il prezzo ai 45,35$ attuali. Alla fine della scorsa settimana il petrolio Brent ha preso un brutto colpo cedendo oltre 1,30$, per attestarsi a 47,75$. Lo spread è ora sceso a meno di tre dollari, un fatto che preoccupa gli investitori. Venerdì i prezzi del petrolio sono crollati: il greggio USA ha ceduto il 5% in seguito all’ondata di vendite sui mercati azionari di Wall Street che ha prevalso sull’impatto positivo dei dati del conteggio delle piattaforme petrolifere USA, che registrano la terza flessione settimanale consecutiva.

A pesare sui prezzi del petrolio il rialzo del dollaro, il timore che la produzione di petrolio da parte dell’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio possa non rallentare e il riassorbirsi delle tensioni politiche in Medio Oriente dopo le trattative fra Russia e Usa sulla Siria.

Il rapporto settimanale Barker Hughes sul conteggio delle piattaforme petrolifere negli USA indica per la scorsa settimana una contrazione di otto piattaforme. Si tratta della terza flessione settimanale consecutiva, un segnale del fatto che il nuovo crollo dei prezzi del petrolio – che ha avuto inizio nel mese di luglio – potrebbe impedire la ripresa delle attività da parte di alcune società di trivellazione. In vista della pubblicazione del rapporto Baker Hughes, i future sul petrolio greggio USA hanno prima perso il 3%, ma alla notizia hanno recuperato in parte le precedenti perdite.

Nel corso del fine settimana sono uscite un paio di notizie riguardo l’Arabia Saudita. Anzitutto le riserve continuano a scendere: il Fondo Monetario Internazionale prevede che quest’anno, per effetto del calo e ripercussioni sull’economia, in Arabia Saudita il disavanzo di bilancio superi i 107 miliardi di dollari.

Il petrolio generalmente pesa per il 90% delle entrate governative, mentre quest’anno la percentuale è scesa all’81%. In considerazione di ciò, il Governo potrebbe valutare l’eventuale abolizione dei sussidi sulla benzina, che attualmente costa 16 centesimi al litro, o un passaggio a energie rinnovabili.

In secondo luogo, la società a controllo statale Saudi Aramco ha confermato che l’attuale presidente e direttore esecutivo, Amin H. Nasser, assumerà l’incarico in via definitiva. Per finire, un rapporto interno dell’Opec prevede un incremento medio dei prezzi del petrolio di cinque dollari l’anno, per raggiungere gli 80$ al barile entro il 2020.

Solamente nei mesi scorsi gli osservatori del settore hanno cominciato a rendersi conto che il calo dei prezzi del petrolio potrebbe protrarsi; alcuni prevedono addirittura che il prezzo possa arrivare ai 20$, soprattutto a causa della pressione esercitata dall’Opec sui produttori di petrolio statunitensi.

L’Opec infatti continua ad aumentare lentamente la produzione per tenere sotto pressione i produttori USA; sono consapevoli del fatto che le società potrebbero interrompere per alcuni mesi le attività di estrazione per poi ricominciare quando i prezzi dovessero risalire, perciò devono mantenere la pressione per un periodo abbastanza lungo da portare alla chiusura definitiva delle società più deboli e convincere gli investitori che, qualora la produzione dovesse riprendersi troppo velocemente, potrebbero farlo di nuovo.

Considerando i problemi di natura finanziaria dei produttori di petrolio USA e il fatto che, se il prezzo del petrolio rimane basso quanto lo è oggi, la situazione sarebbe probabilmente destinata a peggiorare, l’Opec ha tutte le ragioni del mondo per mantenere il piede sull’acceleratore. Potrebbe magari lasciar risalire i prezzi fra un anno o due, ma per ora l’obiettivo è portare al fallimento il maggior numero possibile di società di scisto statunitensi.

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