Non è un mistero che il livello di disoccupazione nazionale abbia sfiorato livelli davvero preoccupanti, specie in un momento dove il lavoro sia l'unica
Non è un mistero che il livello di disoccupazione nazionale abbia sfiorato livelli davvero preoccupanti, specie in un momento dove il lavoro sia l’unica via che possa sbloccare lo stallo del sistema paese.
Guardando un po’ di numeri forniti dall’ISTAT relativi a settembre 2014, è possibile notare come il tasso di disoccupazione salga al 12,6%, di 0,1 punti percentuali in più sia su base mensile che annuale. Il numero di disoccupati si attesta sui 3 milioni e 236 mila, mensilmente in aumento dell’1,5% rispetto ad agosto, pari a 48mila unità in più e annualmente dell’1,8%, ovvero 58mila disoccupati in più.
Nello stesso mese autunnale, la disoccupazione è aumentata sia per i maschi sia per le femmine, rispettivamente dell’1,2% e dell’1,9% per mese, mentre a livello tendenziale si registra un calo per gli uomini (-1%) a cui si contrappone una crescita per le donne (+5,3%).
La disoccupazione giovanile può gioire dal punto di vista del calo mensile (-0,8% rispetto ad agosto ma in aumento di 1,9 punti rispetto a settembre 2013), ma mantiene un fardello non indifferente rimanendo al 42,9%.
A questa serie di dati negativi, si contrappone l’aumento di occupati a settembre 2014: 22 milioni e 457 mila, in crescita dello 0,4% rispetto al mese precedente (+82 mila) e dello 0,6% su base annua (+130 mila). Il tasso di occupazione è pari al 55,9% e cresce di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,5 punti rispetto a dodici mesi prima.
Anche il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce dello 0,9% rispetto al mese precedente e del 2,1% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività, pari al 35,9%, cala infatti di 0,3 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,7 punti su base annua.
È facile vedere come, a fronte di livelli record di disoccupazione, segua qualche timido segnale di ripresa occupazionale, nonostante siano numeri che non permettano ancora di parlare in termini certi di crescita. Nonostante il moderato entusiasmo del ministro del lavoro Giuliano Poletti:” A settembre abbiamo 82 mila posti di lavoro in più ed è il miglior dato da inizio 2013, credo che questo possa far ben sperare”, il problema per l’Italia, in questo delicato momento storico, è la gestione del risparmio conseguente al timore di rimanere poveri, che non permetta quegli investimenti e quei consumi necessari a sbloccare la situazione di stallo creatasi a causa della crisi.
Secondo il “Diario della transizione” del Censis, il 33% degli italiani teme di diventare povero, con conseguenze facilmente prevedibili in termini di mancati investimenti.
Solo il 30% sente di avere le spalle coperte dal sistema di welfare, mentre la percentuale sale al 58% in Spagna, 61% nel Regno Unito, 73% in Germania e 74% in Francia.
È palese una tendenza ad accantonare fondi, se si guarda ai capitali immobilizzati con assicurazioni e fondi pensione: +125% (7,2%). Il trend appare chiaro osservando i numeri sulle polizze vita, considerando l’aumento dei premi raccolti da 63,4% di miliardi di euro nel 2007 a 86,8 miliardi nel 2013 (+21,3% in termini reali).
Se si pensa che a “far le spese” di tutto questo sono stati i consumi, scesi del 7,6% dal 2007 ad oggi, accompagnati da una discesa molto ripida degli investimenti immobiliari (dalle 807mila compravendite di abitazioni del 2007 alle 403mila del 2013) è possibile capire come la propensione al risparmio sia salita del 7,8%, pure a fronte di una riduzione di 1,2 punti nello stesso periodo del reddito disponibile delle famiglie.
In una situazione del genere, con consumi e investimenti, se non bloccati, in diminuzione (nonostante si registri una crescita dei secondi con le azioni italiane in testa per un aumento annuale del 23,13%), la certezza del lavoro e la conseguente crescita occupazionale rimangono le uniche frecce nell’arco italiano in grado di colpire quella fiducia negli investimenti che consenta il ricircolo di capitali e lo sblocco dell’economia reale, che possa sollevare il paese verso un dinamismo finanziario capace di mettersi al pari con le altre realtà dell’Unione Europea.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.