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Il rapporto OECD sconquassa i mercati Forex

Da
Barry Norman
Pubblicato: Nov 26, 2014, 19:27 GMT+00:00

Il dollaro Usa viaggia poco al di sotto di quota 88 dopo aver aperto la settimana in prossimità del nuovo record di tutti i tempi. Quest’oggi i trader

Il rapporto OECD sconquassa i mercati Forex

Il dollaro Usa viaggia poco al di sotto di quota 88 dopo aver aperto la settimana in prossimità del nuovo record di tutti i tempi. Quest’oggi i trader statunitensi inizieranno a lasciare il lavoro poco dopo pranzo per il lungo ponte festivo, motivo per cui i mercati potrebbero registrare riduzioni più che significative dei volumi di trading sino a lunedì, quando gli Stati Uniti celebreranno il Giorno del Ringraziamento. Seguiranno l’inizio della stagione di acquisti natalizi con Black Friday e Cyber Monday. In data odierna verranno pubblicati un gran numero di indicatori relativi all’economia a stelle e strisce, motivo per cui la volatilità sul dollaro Usa e le sue controparti valutarie potrebbe essere particolarmente intensa. Ieri due dei più importanti indicatori si sono contradetti l’un l’altro, lasciando la banconota verde a rimbalzare nel mezzo. La lettura preliminare del Pil statunitense per il terzo trimestre si è stampata al +3,9% dopo esser cresciuta del +3,5% nel secondo; la lettura preliminare dell’indice di prezzo sul Pil ha invece segnato un +1,4% dopo il -1,3% del trimestre precedente. A novembre la fiducia dei consumatori Conference Board si è invece contratta di 5,4 punti sino al livello 88,7 dopo che a ottobre era lievitata sino a 94,1.

I trader si dovrebbero concentrare sull’outlook del Pil britannico e, per quanto riguarda la sessione statunitense, alle richieste di mutui, ordinativi di beni durevoli e richieste di sussidi per la disoccupazione; nonché vendite di nuove abitazioni, vendite di abitazioni esistenti e fiducia dei consumatori Michigan.

I dati economici riguardanti l’Eurozona sono piuttosto scarni, motivo per cui i trader si concentreranno sulle dichiarazioni dei vertici Bce e dei paesi dell’Eurozona. Il rapporto dell’Oecd si è infatti rivelato particolarmente duro proprio contro le economie del blocco monetario: a livello mondiale, secondo l’organizzazione con sede a Parigi è Eurolandia a destare le maggiori preoccupazioni, dal momento che “potrebbe sprofondare in una spirale di stagnazione persistente”. E ancora: “l’Eurozona è a rischio deflazione se la crescita economica continuasse a ristagnare o le aspettative d’inflazione dovessero ridursi ulteriormente”. Le previsioni inflattive dell’Oecd stimano che i prezzi cresceranno del +0,6% nel 2015 e del +1% nel 2016, rivelandosi così molto più pessimiste di quanto non predetto dagli stessi paesi del blocco monetario e, in ogni caso, assolutamente distanti dal target dell’istituto centrale al 2%. L’euro si è frattanto ripreso dopo aver toccato un minimo a 1,24 per raggiungere quota 1,2485; in tarda sessione statunitense di ieri si attestava a 1,2470 e stamattina ha aperto piatto. L’Oecd ha invitato la Bce a introdurre “nuove misure di stimolo monetario per supportare i tassi d’interesse di lungo periodo nei prossimi due anni” tramite l’acquisto di nuovi asset.

In vista della lettura odierna sul Pil, ieri la sterlina si è mossa fino a 1,57 prima di cedere parte dei propri guadagni nel corso della sessione asiatica: al momento viaggia a 1,5696. I commenti favorevoli del report Oecd hanno impattato positivamente sulle quotazioni della divisa britannica: l’economia del Regno Unito cresce a un ritmo del +3% l’anno dal secondo trimestre 2013; secondo l’Oecd, nei prossimi due anni la forte crescita britannica sarà resa possibile grazie al supporto dei consumi privati e degli investimenti.

Il rapporto si è invece rivelato particolarmente critico verso il Giappone: lo yen continua così a viaggiare al ribasso, toccando quota 117,84 dopo aver raggiunto la scorsa settimana il minimo degli ultimi anni per via della decisione del premier Abe di indire nuove elezioni politiche. L’Oecd sostiene che nei prossimi due anni il Giappone crescerà a un ritmo inferiore a quello inizialmente preventivato, affermando che il paese è “in uno stato avanzato” di stagnazione economica. Anche la zona euro corre il rischio di precipitare in una “stagnazione persistente”.

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