I mercati delle valute stanno facendo i conti con la forte volatilità prodotta dalla decisione della Fed e dalle parole del numero uno dell’istituto Janet
La Federal Reserve non ha più fatto riferimento alla necessità di “pazientare”, riferendosi al processo di normalizzazione della politica monetaria, mentre le sue ultime previsioni economiche ci lasciano pensare che i suoi membri “non saranno impazienti” di intervenire sui tassi. Le proiezioni economiche dell’istituto nordamericano hanno portato a una revisione al ribasso delle stime sul Pil e sull’inflazione, assieme alla disoccupazione. L’indice del dollaro è caduto di circa il 3% nel momento in cui gli investitori valutari e dei titoli hanno calcolato le implicazioni delle ultime proiezioni sulla normalizzazione monetaria. L’euro è così lievitato a 1,1043 dal minimo a 1,0580, realizzando un rally che non si vedeva da alcuni anni. La divisa europea ha quindi chiuso la giornata al di sotto del livello di prezzo a 1,09 e stamattina è già scambiata in ribasso di 66 punti a 1,0802.
Le vicende greche continuano a incidere sulle quotazioni dell’euro che, con ogni probabilità, tornerà a deprezzarsi non appena i mercati avranno digerito le decisioni di ieri della Fed. I timori che la Grecia potesse essere costretta ad abbandonare l’Eurozona scomparirono di colpo nel momento in cui gli altri partner europei le accordarono un piano di salvataggio. Eppure, nel momento in cui sembra essere esplosa una nuova guerra verbale fra Atene e i suoi creditori, le voci di una possibile “Grexit” sono tornate a farsi sentire. Jeroen Dijsselbloem, a capo dell’Eurogruppo (che riunisce i ministri dell’Economia e delle Finanze di Eurolandia), ha ventilato la possibilità di ridurre il flusso finanziario che viaggia verso la Grecia per essere certo che Atene saprà ripagare i suoi debiti: ad alimentare questi timori è il confronto sempre più aspro fra il governo ellenico e praticamente ogni altro esecutivo dell’Eurozona (composta di 19 paesi), con in testa la Germania.
Stanotte, il dollaro Usa è frattanto scivolato al minimo a 119,29 nei confronti dello yen nipponico (si tratta della performance peggiore dallo scorso 27 febbraio), finendo negoziato al di sotto di quota 120,00 per la prima volta nelle ultime 3 settimane. Ha quindi recuperato terreno portandosi a 120,13 yen, per attestarsi poco al di sopra del livello del giorno precedente. Oggi gli indici azionari di Tokyo si sono contratti mentre gli investitori realizzavano i propri profitti dopo gli ultimi guadagni del mercato; allo stesso tempo, l’apprezzamento dello yen rischia di incidere negativamente sull’export giapponese soprattutto dopo che la Fed sembra non avere alcuna intenzione di affrettarsi a rialzare i tassi d’interesse. Stamane lo yen si mantiene all’interno del suo range di trading abituale a 120,21.
Le divise legate al prezzo delle materie prime stanno anch’esse beneficiando del passo falso del dollaro. Il dollaro australiano ha toccato stanotte un massimo a 0,7846, risollevandosi di circa il +2% da quota 0,7758 e mantenendosi ben al di sopra del minimo degli ultimi 6 anni a 0,7561 toccato a inizio mese. Stamane l’AUD viaggia in territorio negativo, cadendo a 0,7754 per via della ripresa del dollaro; il Kiwi sta invece beneficiando dei numeri migliori delle attese sulla crescita del Pil pubblicati stamattina: nell’ultimo trimestre l’espansione del prodotto interno lordo è stata infatti del +0,8%, mentre quella su base annua si attesta al +3,3%.