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Contributo di Solidarietà: La sperequazione è evidente

Da
Lorenzo Cuzzani
Aggiornato: Feb 18, 2015, 01:20 GMT+00:00

Il contributo di solidarietà che, da un anno a questa parte, le regioni italiane versano al resto della Nazione ha toccato livelli di disparità

Contributo di Solidarietà: La sperequazione è evidente
Contributo di Solidarietà: La sperequazione è evidente

Il contributo di solidarietà che, da un anno a questa parte, le regioni italiane versano al resto della Nazione ha toccato livelli di disparità decisamente elevati.
La storia italiana insegna che sono sempre state presenti regioni più strutturate ed equilibrate rispetto ad altre, ma adesso la forbice differenziale ha raggiunto valori così profondi da imporre una riflessione importante.

Come statuito dall’art 1 comma 486 della L. 147/2013 (Finanziaria 2014), qui riportato in forma parziale: “A decorrere dal 1º gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS, è dovuto un contributo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all’importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonché pari al 12 per cento per la parte eccedente l’importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l’importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini dell’applicazione della predetta trattenuta e’ preso a riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l’anno considerato”.

Appare chiaro l’assunto, figlio di una necessità di carattere ausiliario, in accordo con la Costituzione che sostiene l’omonimo rango al diritto alla previdenza sociale; in questo caso però, si tratta di recepire l’orientamento europeo concretizzato nel Patto di Stabilità, quello stesso accordo che immobilizza risorse nazionali per mantenere in equilibrio il rapporto deficit/PIL.

Dati alla mano, avvalendosi di uno studio compiuto dalla CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) di Mestre, è possibile farsi un’idea sul residuo fiscale di ogni regione italiana, calcolato sottraendo al complesso di entrate complessive, l’insieme totale delle spese regionalizzate dalle amministrazioni pubbliche. Si evince come le regioni settentrionali a statuto ordinario vantino un saldo positivo, versando più di quanto ricevano.

A guidare questa particolare classifica è la Lombardia, la quale presenta un residuo fiscale annuo positivo di 53,9 miliardi, pari al valore pro capite di 5.511 euro: ogni cittadino lombardo contribuisce in maniera solidale con 5.500 euro, al cui calcolo della CGIA non sfuggono neonati e ultracentenari. Segue il Veneto con un saldo positivo di 18,2 miliardi di euro, pari a 3.733 euro per unità, a cui subito dopo consegue l’Emilia Romagna con un residuo di 17,8 miliardi corrispondenti a 4.076 euro per abitante. Chiude l’insieme di regioni super contribuenti il Piemonte, che si attesta sui 10,5 miliardi, pari a 2418 euro. Per dovere di cronaca è possibile citare la Liguria con un contributo di 1 miliardo di euro, pari a 701 euro per ogni cittadino, ma è una realtà da non considerare, vista la recente situazione geo-economica dovuta ai disastri ambientali degli ultimi anni.

Minore, ma ugualmente virtuoso, è il complesso costituito dal blocco delle regioni centrali, il quale può vantare un residuo fiscale positivo di tutto rispetto, con la Toscana in testa con un saldo di 8,3 miliardi di euro, il Lazio immediatamente dopo con un valore di 7,3 miliardi di euro, seguito da Marche e Umbria rispettivamente contribuenti per 2,5 e 1,1 miliardi di euro.

Nettamente opposte sono le realtà meridionali, dove spicca il peggior saldo tra tutte le regioni italiane, appartenente alla Sicilia con un -8,9 miliardi di euro, pari in termini pro-capite a 1.782 euro, seguita dalla Calabria con un -4,7 miliardi (-2.408 euro per unità), immediatamente prima della Sardegna (-4,2 miliardi in termini assoluti e -2.566 quelli unitari), lasciando come fanalino di coda Campania e Puglia, rispettivamente ferme a -4,1 miliardi di euro (-714 euro a persona) e -3,4 miliardi di euro (pari a -861 euro per abitante)

Appare palese come l’Italia sia un paese a trazione anteriore, in cui le regioni più strutturate trainino a cascata quelle dalle criticità più elevate, ma il rischio incombente sulla penisola è che una tale dimensione sperequativa possa limare e indebolire gli apparati più sani e funzionali, al punto di aprire pericolosi deficit trasversali, logorando tessuti fondamentali del sistema paese.

Un situazione di specie è stigmatizzata anche da “Giuseppe Bortolussi”, segretario della CGIA, il quale ammonisce:”Voglio sgombrare il campo da qualsiasi fraintendimento, noi siamo d’ accordo che le Regioni più ricche debbano aiutare quelle più in difficoltà. Il principio della solidarietà non è in discussione, ci mancherebbe. Tuttavia, se, come ha fatto nell’ultimo decennio, lo Stato centrale continuerà nella politica dei tagli lineari, facendo mancare risorse e costringendo le Autonomie locali ad aumentare le tasse, anche al Nord la qualità delle infrastrutture, della sanità, del trasporto pubblico locale e della scuola potrebbe venir meno, alimentando la rabbia e la disaffezione nei confronti della politica nazionale”.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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