SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno), nel suo rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2015, analizza nel dettaglio
SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), nel suo rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2015, analizza nel dettaglio criticità e contingenze in seno al Sud Italia, chiarendo la situazione attuale in termini di sviluppo, consumi, investimenti e non solo in modo da delineare un quadro esauriente ed esplicativo.
Il rapporto prende le mosse dal nucleo del discorso, la concreta negativa condizione del Meridione la cui prospettiva rischia di costituire un continuum perpetuo.
“Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.
Annoso problema del Sud, sempre orfano di una leadership che potesse guidarlo ad una determinazione verso l’alto e con il conseguente rischio di continuare a rappresentare un problema per il Paese che non può essere più trascurato, specie considerando il serbatoio di risorse che ha sempre offerto, sia in termini di capitale umano che a livello di energia e materie prime.
Le considerazioni di cui sopra diventano più stringenti osservando i dati occupazionali che SVIMEZ fornisce nel rapporto, per il quale: “ Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13% la metà della Grecia che ha segnato +24%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%)”.
In più, secondo quanto riportato sempre dall’associazione pro mezzogiorno, dal 2001 al 2014 l’Italia ha conosciuto una crescita del +20,6%, la più bassa dell’area Euro, la cui media si attesta sul +37,4%.
La forbice tra Sud e resto dell’Italia si amplia in diversi settori, primo fra tutti quello manifatturiero, la cui perdita produttiva nel periodo intercorso tra 2008 e 2014 si attesta sul 34,8%, poco più del doppio della media nazionale, ferma al -16,7%; in conseguenza di ciò sono calati drasticamente gli investimenti, facendo registrare un -59,3%, portando la quota del valore aggiunto manifatturiero 2014 al risibile 8%, in contrasto al valore più elevato registrato al Centro-Nord, 17,9%.
Ultimo, ma di non minore importanza, è il dato relativo alle esportazioni, il cui aumento al Centro-Nord si stima del 3%, mentre nel Sud cala del 4,8%.
Capitolo consumi: anche qui si assiste a segni divergenti tra Sud e Centro-Nord, con il primo che deve arrendersi al fatto che gli stessi siano calati dello 0,4% nel 2014 a fronte di un aumento dei secondi dello 0,6%, raggiungendo la flessione record del 13,2% dall’inizio della crisi, più del doppio del resto della Nazione.
Non appare migliore la situazione degli investimenti, che nel 2014 registrano un’ulteriore riduzione di 4 punti percentuali e raggiungendo dal 2008 una percentuale negativa del 38%, con picchi del 58% per l’industria, del 47% per le costruzioni e del 38% per l’agricoltura.
“Alla caduta a complessiva dell’accumulazione ha contribuito non poco la grave compressione della spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione, consumatasi soprattutto a danno del Mezzogiorno. A livello nazionale, la spesa pubblica in conto capitale (a prezzi costanti del 2014) è diminuita, dal 2001 a oggi, di oltre 17,3 miliardi di euro. Fatto cento il livello complessivo del 2001, dopo aver registrato prima della crisi (2007) ancora un livello di circa il 98,7%, è declinata fino ad arrivare al 72,7% nel 2013. Mentre al Centro-Nord, il livello del 2013 è sceso all’80,4% rispetto al 2001 (dopo aver toccato il 108,2% nel 2007), nel Mezzogiorno il declino costante, accentuato gravemente dalla crisi, ha portato ad livello di circa 39 punti percentuali al di sotto del 2001”.
Continua il rapporto: “Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è la deriva e scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il PIL del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%) e il PIL pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2014 ha toccato il punto più basso degli ultimi 15 anni, con il 53,7%”.
Questa cospicua flessione ha portato a far scendere anche il PIL pro capite, il cui valore nel 2014 ha registrato una perdita del 53,7% sul valore nazionale, risultato mai segnalato dal 2000 in poi.
Sempre nel 2014, il 62% dei contribuenti il Mezzogiorno ha ottenuto un reddito di 12 mila euro annui, a fronte delle stesse condizioni conosciute dal 28,5% del Centro-Nord.
Il divario tra Meridione e resto d’Italia si mostra in tutta la sua grandezza nella diversità di PIL nazionale, la cui media di 26.585 euro è ottenuta operando la media tra i 31.586 euro del Centro-Nord e i soli 16.976 del Sud, con una forbice non indifferente tra la regione più ricca, il Trentino Alto-Adige e la più povera, la Calabria, con ben 22 mila euro di differenziale esistente tra gli oltre 37.000 della prima contro i quasi 16.000 della seconda.
Da qui consegue l’evidente rischio povertà, il cui livello sperequativo si accresce di numeri davvero alti, specie sempre se confrontati l’un altro, per i quali riguarderebbe una persona su tre al Sud e una su dieci al Nord.
Una situazione sicuramente a tinte fosche la cui risoluzione si rende assolutamente necessaria se non si vuole peggiorare ancor di più lo status critico che opprime sia il Meridione che l’Italia intera, anche alla luce del numero di occupati del Mezzogiorno, che, ulteriormente “in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche ISTAT”.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.