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La difficile ripresa italiana

Da
Lorenzo Cuzzani
Aggiornato: Aug 1, 2015, 07:07 GMT+00:00

L'Europa sta faticando e non poco a rialzarsi dalla crisi economica, il cui status cronico quasi ha fatto dimenticare lo status quo, una situazione ormai

La difficile ripresa italiana
La difficile ripresa italiana

L’Europa sta faticando e non poco a rialzarsi dalla crisi economica, il cui status cronico quasi ha fatto dimenticare lo status quo, una situazione ormai sconosciuta da oltre 7 anni.
Sebbene siano presenti esempi di Paesi la cui reazione alla crisi sia stata encomiabile, o i cui sistemi abbiano facilitato una replica perentoria, come ad esempio la Germania, qui rileva focalizzare l’attenzione sulle Nazioni che al contrario abbiano riscontrato seri problemi di gestione della flessione economica e la cui risalita appaia alquanto ardua.

Purtroppo, il Bel Paese rientra nel novero dei secondi e, per quanto negli ultimi mesi si siano registrati dati rassicuranti, primo fra tutti l’aumento del PIL con l’inversione da una contingenza di calo ad una di progresso, emerge un deficit sistemico non indifferente stigmatizzato da più parti.

Le fonti in questione sono tutt’altro che prive di credibilità, perché, tra le altre, si possono citare gli ultimi rapporti del Fondo Monetario Internazionale e della BCE, i quali, esprimendosi su temi differenti, confermano uno il report dell’altra.

Relativamente alla difficile crescita europea, il FMI, nell’Article IV, così si esprime: “Senza una significativa accelerazione della crescita, alla Spagna ci vorranno quasi 10 anni e a Italia e Portogallo quasi 20 anni per ridurre il tasso di disoccupazione a livelli pre-crisi; una disoccupazione alta probabilmente continuerà per un po’”. Continua poi, specificamente riguardo l’Italia: “Il tasso naturale di disoccupazione” – definito come il tasso di disoccupazione a inflazione stabile (Nairu) – “resti più alto di quello visto durante la crisi”.

Una simile proiezione, per quanto passibile di una rimodulazione nel lungo periodo, oscura di molto quanto di buono recepito nell’ultimo periodo, specie considerando come l’Italia appaia il fanalino di coda dell’Eurozona (non considerando la Grecia, vero e proprio caso specifico in seno all’Unione Europea), al pari di uno Stato, il Portogallo, con risorse alquanto differenti rispetto al Bel Paese, con una diversa rilevanza all’interno dell’UE e con una paragone che davvero delinea il quadro negativo all’interno del quale è imprigionata la Penisola.
Una forbice così elevata con un paese come la Spagna è inaccettabile se si vuole raggiungere l’obiettivo di essere credibili di fronte alla platea di investitori stranieri e di fronte all’intera comunità internazionale, credibilità che lo Stato Spagnolo sta meritatamente riguadagnando.

Scendendo nel dettaglio, è possibile estendere il confronto anche alla Francia, oltre che alla sopracitata Spagna, riprendendo in prestito i dati forniti sempre dal FMI, il quale sostiene come il Nairu d’Oltralpe si attesterà, nel medio termine, a livelli pari a quelli durante la crisi mentre quello iberico “scenderà in modo significativo rispetto a livelli senza precedenti ma rimarrà sopra il 15% nel medio termine”.

Anche qui si evince come ci sia davvero una portata sperequativa evidente nella crescita tra vari Paesi Europei e l’Italia, il che rende la condizione italiana sempre più inquietante.

In più, le prospettive generali dell’Eurozona affossano maggiormente le speranze italiane, perché nonostante il FMI sostenga che la ripresa economica “si sta rafforzando, sostenuta dai prezzi bassi del petrolio e dal programma di acquisti della BCE”, d’altra parte afferma che le dette “prospettive di medio termine restano deboli, appesantite da una domanda insufficiente, da una bassa produttività e dai bilanci deboli di banche e imprese”, aggiungendo come l’economia europea resti “esposta a choc esterni”.

Uno scenario tutt’altro che roseo, se si pensa al ruolo di quasi ultima della classe dell’Italia, la quale partendo da molto più in basso, dovrà impegnarsi molto più strenuamente per risalire la china.
A gettare benzina sul fuoco, ci pensa anche la BCE, la quale prima giudica come “deludenti” i progressi compiuti dai vari Paesi Europei, verso una convergenza reale del PIL, poi criticando aspramente l’Italia, in quanto titolare di una crescita inferiore alla media, aumentando la divergenza, con un afflusso inferiore di capitali privati.

Il dato che emerge è che il Bel Paese ha scontato anche una produttività del lavoro “ampiamente al di sotto della media euro” e una governance delle istituzioni nazionali nelle posizioni più basse: ancora una volta, si rende necessaria una corposa semplificazione della burocrazia e uno snellimento delle procedure, veri punti deboli del sistema tricolore che rischiano di affossare ancor di più una Nazione che ha tutta la voglia di riprendersi il proprio posto nella leadership europea.

L’Italia è prigioniera di un quadro che la renda giovane e vivace fuori, veicolando una falsa economia reale i cui consumi siano al di sopra delle proprie possibilità e vecchia e sbiadita nella sostanza, in quanto tali consumi nascondano la sostanza di un Paese assolutamente non in salute in cui aleggi lo spettro dell’appassimento vitale; questo continuum dagli anni ’90, sebbene in quegli anni ci fosse tutta un’altra ricchezza, impone una riflessione: l’Italia sarà capace di gestire la propria ricchezza, investendo sulla propria ricrescita o sarà troppo occupata a pensare all’effimero facendo la fine di Dorian Gray?

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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