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La Brexit e il petrolio dominano il mercato valutario

Da:
Barry Norman
Pubblicato: Feb 25, 2016, 10:38 GMT+00:00

Il sentimento di avversione al rischio registrato sui mercati ha causato un rialzo dello yen, mentre i prezzi del petrolio continuano a essere al centro

La Brexit e il petrolio dominano il mercato valutario

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Il sentimento di avversione al rischio registrato sui mercati ha causato un rialzo dello yen, mentre i prezzi del petrolio continuano a essere al centro dell’attenzione poiché stanno continuando ad avere effetti sul mercato delle materie prime, dei titoli e delle valute. Nella giornata di mercoledì, le borse americane si sono mosse al ribasso per la seconda sessione consecutiva, spinte da una caduta dei prezzi delle materie prime e, in particolare, del petrolio. Il dollaro si è deprezzato rispetto allo yen, attestandosi a quota 111,17 rispetto ai 111,97 yen della sessione precedente. L’euro si è mosso in rialzo, toccando gli 1,1037 dollari rispetto ai precedenti 1,1018. Lo yen ha raggiunto il suo valore più elevato rispetto al dollaro e il suo livello più alto rispetto all’euro negli ultimi tre anni.

Lo yen continua a trarre beneficio dal basso valore del greggio e dell’andamento negativo del mercato azionario. Altri beni rifugio, come i titoli di Stato degli Stati Uniti e l’oro, si sono anch’essi mossi in rialzo nella giornata di mercoledì. Le valute legate alle materie prime, come il rublo, il real brasiliano e il rand sudafricano si sono deprezzate rispetto al dollaro e allo yen.

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Lasciando da parte il petrolio, oggi invece la coppia valutaria posta sotto i riflettori è quella EUR/GBP  per via della possibilità di uscita della Gran Bretagna dall’Eurozona. Mentre la Gran Bretagna si avvicina alla data del secondo referendum fondamentale in poco meno di due anni, il dibattito sulla Brexit ha generato nervosismo nei mercati finanziari, tanto che Canary Wharf prevede un ulteriore espansione della volatilità che determinerà una svalutazione della sterlina e una fuoriuscita di capitali.

Il dibattito acceso su una possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea a giugno ha inciso molto negativamente sulle azioni inglese e sui mercati valutari, con la sterlina (GBP) che si è attestata sotto la soglia degli 1,40 dollari nella sola giornata di mercoledì,a fronte di una gamma di oscillazione che, nello scorso anno, andava dagli 1,42 agli 1,60 dollari.

La sterlina potrebbe addirittura aumentare le perdite rispetto al dollaro e arrivare a quota 1,35 in una settimana a partire dalla giornata odierna, mentre le preoccupazioni di Canary Wharf relative alla stabilità in un ambiente politico piuttosto fragile stanno mettendo sulla difensiva gli investitori della City.

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La svalutazione della sterlina, innescata dalle speculazioni sulla Brexit e dall’attesa del referendum indetto per il 23 giugno prossimo, potrebbe essere addirittura più netta e profonda di quanto previsto inizialmente. In base a una stima piuttosto fondata, la sterlina potrebbe arrivare a 1,35 dollari in una settimana e questo sarebbe il livello più basso toccato dal 1985, dal quale peraltro sarà difficile risollevarsi prima del referendum.

Qualora la Gran Bretagna optasse per l’uscita, la sterlina potrebbe perdere ancora più valore, attestandosi probabilmente intorno agli 1,20 dollari, rendendo reali quindi le previsioni della Deutsche Bank, secondo cui è plausibile il tasso FX della sterlina si attesti intorno agli a 1,27 dollari verso la fine del 2016.

Inoltre, se la Gran Bretagna uscisse dall’Unione Europea, la Banca d’Inghilterra potrebbe portare il tasso di interesse a zero, con il risultato di provocare un’enorme fuga di capitali, ben più sostanziosa rispetto all’ipotesi di una situazione identica a quella di adesso. Attualmente, l’economia inglese è vicina a un punto per cui un rialzo dei costi finanziari sarebbe preferibile, poiché scongiurerebbe il rischio di bolle finanziarie. Forse, il dibattito sulla Brexit potrebbe aiutare a far calmare il settore finanziario senza dover necessariamente ricorrere al suddetto rialzo.

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I trader ritengono, inoltre, che le basse previsioni di crescita potrebbero pesare sull’andamento dell’euro. Un documento reso noto martedì mostrava un calo nella fiducia delle imprese in Germania, chiaramente connesso alle paure che questo momento particolare sta innescando nella maggiore economia dell’Eurozona.

Gli analisti ritengono che questo potrebbe determinare una nuova politica monetaria di stimoli da parte della Banca Centrale Europea quando, il prossimo marzo, si riunirà per decidere dei tassi.

Una politica monetaria ultraespansiva, ovvero quella che consentirebbe la messa in circolazione di più denaro, abbasserebbe il valore della moneta.

Il diverso sentiero dei tassi di interesse negli Stati Uniti ha permesso un rialzo del dollaro dall’estate del 2014. La Federal Reserve è stata finora l’unica grande banca centrale ad innalzare il livello dei tassi, così provocando un apprezzamento del dollaro.

La forza del dollaro ha smesso di fare presa solo quest’ anno, mentre dati incerti sulla crescita economica globale hanno reso i funzionari della Fed molto più cauti rispetto alla politica di innalzamento dei tassi. Questa esitazione ha convinto gli investitori a ridurre le loro scommesse sul rialzo sul dollaro.

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