Il greggio WTI non riesce a riprendere fiato continuando a muoversi in ribasso nella sessione asiatica. Il combustibile statunitense perde 14 centesimi ed
Il greggio WTI non riesce a riprendere fiato continuando a muoversi in ribasso nella sessione asiatica. Il combustibile statunitense perde 14 centesimi ed é negoziato a 34,81$ mentre il brent si muove in rialzo guadagnando 21 centesimi per attestarsi su quota 37,10$. Dopo aver postato i minimi a meno di 1$ ad inizio settimana, lo spread tra i due combustibili aumenta vertiginosamente attestandosi in prossimità dei 2,5$. I future del greggio si muovono nuovamente in ribasso sulla scia di un incremento dei numeri d’inventario e dell’innalzamento dei tassi di interesse attuato dalla Federal Reserve nel corso settimana, scenario che ha esercitato un ulteriore pressione sui prezzi del greggio già influenzati da un eccesso della fornitura globale.
Il combustibile statunitense è scambiato 60 centesimi al di sotto dei minimi postati nel 2008, quando la crisi finanziaria ebbe inizio. Il Brent perde 70$ rispetto ai minimi del mese scorso. L’analisi di mercato riportata dalla Genscape ha mostrato un incremento di 1,4 milioni di barili nel centro di stoccaggio di Cushing, Oklahoma, centro di consegna dei future WTI. I trader hanno preso visione del suddetto rapporto nella sessione di giovedì.
I dati sono stati rilasciati il giorno successivo alle dichiarazioni dell’Energy Information Administration degli Stati Uniti che hanno mostrato come la scorsa settimana le scorte di greggio siano aumentate di 4,8 milioni di barili contro il pareggio previsto dagli analisti.
L’Opec ha dichiarato che sebbene le scorte OCSE e non-OCSE si attestino al di sopra della media quinquennale l’organizzazione non ha intenzione di tagliare i livelli di produzione che negli ultimi sei mesi hanno raggiunto una media di 31 milioni di barili. Ricordiamo, inoltre, come quest’anno, un dollaro statunitense in costante ascesa abbia gravato sul mercato petrolifero, rendendo la merce più costosa per i detentori di altre valute.
L’Opec si trova ora divisa tra due fazioni, una guidata dall’Arabia Saudita, principale produttore mondiale che affiancata dai suoi ricchi alleati del Golfo può continuare a vendere petrolio a buon mercato, l’altra composta dalla Nigeria, dal Venezuela e dalle altre nazioni che necessitano di prezzi più elevati per supportare l’economia. Invece di ridurre la produzione ed innescare così un rialzo dei prezzi del greggio, l’Opec ha mostrato una politica aggressiva decidendo di mantenere la produzione attuale al fine di riconquistare la quota sua di mercato.
I prezzi si muovono in ribasso dal 4 Dicembre, data in cui i membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio hanno deciso di non limitare la produzione nonostante l’eccesso dell’offerta, la carente domanda e il rallentamento dell’economia globale. Nel mese di dicembre, il consenso di una produzione record da parte di Arabia Saudita, Iran, Stati Uniti e Russia ha spinto i prezzi del greggio in ribasso del 15%. Sempre nel mese di dicembre, l’S&P GSCI Energy Index perde il 14% mentre S&P GSCI Commodity Index, composto da 24 contratti, posta un calo dell’8,5%. Contrariamente, gli indici più ampi come l’S&P 500 (SPY) hanno sovraperformato il mercato delle materie prime registrando un lieve calo dello 0,35%.
Il mercato del gas naturale si attesta in prossimità dei minimi degli ultimi 20 anni. Il combustibile perde 7 punti ed è scambiato a 1.738$ poiché le temperature più elevate negli Stati Uniti hanno ridotto la domanda di cherosene mentre aumentano i livelli di produzione. Inizialmente il gas naturale era il sostituto più economico del greggio e della produzione elettrica, tuttavia, con i prezzi attuali la domanda diminuisce. Il numero dei giorni invernali in cui la richiesta di cherosene è più elevata continua a ridursi. Giovedì i future del gas naturale postano i minimi degli ultimi 16 anni poiché un calo delle scorte inferiore del previsto a causa di temperature più miti dovrebbe continuare a mantenere bassa la domanda. Stando a quanto riportato dall’ Energy Information Administration (EIA), nella settimana conclusa l’11 dicembre, le scorte di gas naturale hanno postato un calo di 34 miliardi di piedi cubi contro i 40 miliardi previsti dagli analisti intervistati da Reuters. Ricordiamo come la scorsa settimana il calo fosse di 76 miliardi di metri cubi, nella stessa settimana dello scorso anno le scorte hanno registrato un calo di 62 miliardi di metri cubi che su una media quinquennale si traduce in 120 miliardi di metri cubi.