Oggi la gran parte dei mercati rimarrà chiusa per le festività pasquali. Per questo motivo i volumi delle transazioni si manterranno contenuti, nonostante
I future sui contratti azionari sono crollati nell’arco dei 45 minuti che li hanno separati dalla pubblicazione del rapporto occupazionale a stelle e strisce di marzo (inferiore alle attese) e la chiusura pasquale. Il rapporto lascia pensare che la Fed potrebbe far trascorrere un lasso di tempo più lungo prima di rialzare i tassi, spostando l’intervento a settembre da giugno (la data inizialmente prevista). La conseguenza è stata che il dollaro si è deprezzato fino a chiudere in calo per la terza settimana di fila contro le sue principali controparti valutarie, a fronte di un incremento dei tassi sui titoli di Stato Usa e di una flessione dei rendimenti sui bond a 10 anni al minimo degli ultimi 2 mesi; l’impressione è che la crescita dell’economia Usa procederà dunque a un ritmo più contenuto e meno rischioso.
Gli occupati statunitensi sono aumentati di solamente 126mila unità nel corso di marzo, contro un’attesa per un incremento di 245mila unità; si tratta dell’incremento minore nell’ultimo anno. La lettura, in realtà, non avrebbe dovuto sorprendere oltremodo, poiché la spesa federale Usa – ovvero il fattore che in questa fase incide di più sull’economia statunitense – è calata del -7,3% nel corso del quarto trimestre 2014; di qui il rallentamento dell’espansione economica nel primo trimestre del nuovo anno. Ciò, a fronte di condizioni climatiche già difficili per via del rigido inverno, ci fa pensare che il dato sulle buste paga non sia parte di un trend e che l’occupazione ritornerà a crescere nei mesi a venire.
Il biglietto verde si è deprezzato per la terza settimana di fila a causa della reazione dei trader agli ultimi dati economici e soprattutto al convincimento che la Fed non interverrà sui tassi a giugno: di qui l’ondata di svendite che ha colpito il dollaro. L’indice DX ha infatti perso il -0,8% mentre la divisa Usa scivolava al minimo dell’ultimo mese contro le sue 10 controparti valutarie principali. L’euro è cresciuto del +0,8% portandosi a 1,0976 mentre lo yen lievitava appena del +0,1% a 118,97. Le imprese esportatrici di Germania e Giappone non festeggeranno di certo per questa notizia, motivo per cui nel corso della settimana alcuni indici borsistici europei e asiatici potrebbero scivolare in territorio negativo.
Il fortissimo apprezzamento del dollaro Usa contro le principali valute del globo, in atto dalla scorsa estate, potrebbe finire per rinviare quello che sarà il primo rialzo dei tassi statunitensi dal 2006. A sua volta, ciò non mancherà di ripercuotersi sui tassi di mutui e altri finanziamenti a lungo termine. Ufficialmente, il Fomc non presta particolare attenzione alle oscillazioni del dollaro, rispettando i compiti istituzionali di due diversi mandati risalenti alla creazione dell’istituto: la Fed è infatti responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti, mentre le decisioni che riguardano il dollaro rientrano fra le mansioni del dipartimento del Tesoro. Eppure, sotto la presidenza Yellen, le oscillazioni del dollaro hanno avuto un’influenza determinante anche nelle decisioni delle autorità monetarie Fed.