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I trader del Forex si muovono verso il rischio

Da:
Barry Norman
Pubblicato: Feb 23, 2016, 10:13 GMT+00:00

Ieri, i mercati hanno assistito a una giornata frenetica con poche novità, salvo che per i dati degli indici dei direttori degli acquisti dell’Eurozona.

I trader del Forex si muovono verso il rischio

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Ieri, i mercati hanno assistito a una giornata frenetica con poche novità, salvo che per i dati degli indici dei direttori degli acquisti dell’Eurozona. Dopo un ribasso nella giornata di venerdì, il mercato azionario europeo ha ripreso quota guadagnando l’1,5% supportato anche da un forte rialzo dei prezzi del petrolio. Anche il mercato delle equity americane si è mosso positivamente guadagnano più dell’1,2%.

L’indice Markit dei direttori degli acquisti del settore manifatturiero americano è sceso significativamente a febbraio, passando da 52,4 a 51,0 mentre ci si attendeva una sua stabilizzazione. L’indice si trova al suo livello più basso da ottobre 2012

L’agenzia di rating Moody’s ha avvertito oggi che i costi economici della decisione di lasciare l’Unione Europea sono molto più elevati dei benefici e dunque vale la pena considerare bene le conseguenze che un’uscita dell’Inghilterra potrebbe comportare anche in termini di credit rating del paese. Nel frattempo, Moody’s ha assegnato alla Gran Bretagna un previsione di rating negativa, classificando il paese come Aa1 nel caso di una sua uscita dall’Unione Europea.

Il prezzo del Brent è aumentato di più del 5% nella sola giornata di oggi, avvicinandosi nuovamente alla quota dei 35 dollari al barile, mentre la Iea ha affermato di aspettarsi per quest’anno una frenata pari a 600000 barili al giorno nella produzione dell’olio di scisto negli Stati Uniti e un altro calo di 200000 barili al giorno per il prossimo anno. Il Wti è aumentato di più del 5%, portandosi sopra la quota dei 31 dollari al barile.

L’incremento dei prezzi del greggio ha funzionato da salvagente per Wall Street, dal momento che i trader hanno diminuito i loro investimenti in valute rifugio. L’oro è sceso di 20 dollari, mentre il dollaro stesso ha subito un’impennata portandosi a un livello registrato da ultimo tre settimane fa. L’apprezzamento del dollaro è stata notevolmente favorito dal rialzo del petrolio e del mercato azionario, così come dal deprezzamento della sterlina e dell’euro attualmente, sotto pressione per via di una possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

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La sterlina ha subito uno dei ribassi maggiori, portandosi al livello di sette anni fa ed essendo così negoziata a quota 1,4057 dollari. Questa caduta, determinata dai timori per la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha avuto ripercussioni anche su altre valute come il franco svizzero e l’euro. L’ultimo cambio della sterlina era dato a 1,4141 dollari, in ribasso dell’1,8%, mentre l’euro si è apprezzato dello 0,5% portandosi a 77,99 pence.

L’accordo tra l’Unione Europea e Londra sulle nuove condizioni, che consentirebbero alla Gran Bretagna di rimanere nell’Eurozona, ha dunque avuto effetti negativi sull’andamento della sterlina. Inoltre, il compromesso ha causato disordini all’interno del partito conservatore di Cameron: il risultato del referendum fissato per il 23 giugno continua ad avere un discreto margine di incertezza.

La propensione al rischio che si è registrata sui mercati ha pesato sull’euro, che nei recenti mesi tende ad avere una correlazione negativa con il rischio. L’euro ha perso quota, attestandosi a 1,1004 dollari, e si è preparato così al suo più grande deprezzamento giornaliero della settimana. I dati degli indici dei direttori degli acquisti dell’Eurozona sono stati piuttosto deboli, sicuramente più deboli di quanto previsto, ma questi non hanno avuto un forte impatto sull’andamento dell’euro. In ogni caso, la propensione al rischio ha avuto una funzione costruttiva e i prezzi del petrolio sono nuovamente risaliti. Una prima lettura dei risultati degli indici dei direttori degli acquisti dell’Eurozona, tanto nel settore manifatturiero quanto in quello dei servizi, ha mostrato che tali dati sono molto più deboli di quanto ci si attendesse, anche se questo non ha determinato grandi turbative, specie per il petrolio e per il mercato delle equity. Per il secondo mese consecutivo, si è assistito a un ribasso dell’indice dei direttori degli acquisti composito, che ha raggiunto a febbraio il suo livello più basso da un anno a questa parte. L’indice è, infatti, sceso da 53,6 a 52,7, al di sotto delle previsioni che davano un calo del 53,3. Questo rallentamento è stato trainato fondamentalmente dal settore manifatturiero. L’indice dei direttori degli acquisti di questo singolo comparto ha subito una caduta da 52,3 a 51,0, portandosi quindi ben più al di sotto delle previsioni che davano il declino a 52,0.

L’indice dei direttori per gli acquisti nel settore dei servizi è sceso da 53,6 a 53,0 mentre ci si attendeva un calo molto più marginale.

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Martedì mattina, i mercati asiatici sono stati caratterizzati da avversione al rischio, senza grandi novità. La Pboc ha fissato lo yuan in una posizione leggermente più forte rispetto al dollaro, portandolo a quota 6,5292. La banca centrale di Pechino continua a dare il segnale di voler supportare la stabilità del mercato. Lo yuan in-shore e quello off-shore hanno visto ben pochi cambiamenti.

Nella giornata di lunedì, il dollaro australiano si era mosso notevolmente in rialzo, guadagnando 84 punti e attestandosi al livello più alto del 2016, ovvero a quota 0,7234. Il dollaro neozelandese ha guadagnato terreno, portandosi a quota 0,6714.

Lo spostamento verso la propensione al rischio ha avuto un certo impatto sullo yen, che è ora negoziato a 112,18 dollari. La forza dello yen sta pesando fortemente sull’economia asiatica, poiché i trader sono preoccupati dai dati economici deludenti e dagli effetti del tasso di interesse negativo.

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