Mercati azionari globali 2025, cosa attendersi da Donald Trump, i dazi la pace in Ucraina. E poi, la crisi dell'automotive e della Germania.
Cosa attenderci dai mercati azionari globali del 2025? Fare previsioni è sempre molto difficile. Basti ricordare che nel 2023 si ipotizzava che il 2024 sarebbe potuto essere l’anno di una recessione pesante per gli USA e così non è stato.
Il 2025 potrebbe essere l’anno di una maggiore stabilità geopolitica? Sicuramente sarà l’anno in cui tornerà Donald Trump alla guida degli Stati Uniti e anche l’anno in cui la Germania dovrà andare a elezioni politiche anticipate.
Proviamo dunque a delineare un quadro ipotetico di come potrebbe essere il 2025 dei mercati azionari e finanziari più in generale.
Il ritorno di Trump ha messo in moto la politica internazionale ben prima del suo insediamento del 20 gennaio 2025. In particolare la guerra in Ucraina, secondo le parole di Trump, potrebbe essere risolta nel giro di poco tempo. Ma sarà proprio questa la realtà? Nel 2025 si avvierà il processo di pace in Ucraina?
Certamente per l’Europa si tratterebbe di un mezzo sospiro di sollievo, almeno momentaneo. Poi nel lungo periodo si dovrà valutare il reale vantaggio di un processo di pace Trump – Putin.
Ma Trump è anche sinonimo di dazi. Questi ha già minacciato di alzare dazi al Messico e al Canada con i quali è in vigore un trattato voluto e firmato proprio da Trump insieme a Justin Trudeau e Enrique Pena Nieto il 30 novembre 2018 (USMCA).
E infatti il premier canadese Trudeau è volato a Mar-a-Lago, in Florida, il 29 novembre 2024 per parlare con Trump delle sue minacce commerciali.
Trump vuole imporre dazi alle importazioni del 25% se non otterrà come contropartita la fine del traffico di droga e degli immigrati irregolari. Anche la Cina e l’Unione Europea rischiano dazi.
La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha suggerito ai paesi europei di offrire a Trump l’acquisto di più gas naturale (GNL) e più difesa per evitare i dazi. Lagarde, intervistata dal Financial Times, ha infatti avvertito che da una guerra commerciale ne uscirebbero tutti perdenti e in particolare la zona dell’euro.
L’altro fronte commerciale è la Cina. Donald Trump non può che continuare il braccio di ferro con la seconda potenza mondiale. Gli USA devono mantenere la loro sfera di influenza, mentre la Cina vuole ampliare la sua.
L’inflazione resterà un sorvegliato speciale anche nel 2025. Le tensioni geopolitiche e adesso la minaccia di dazi da parte di Trump, rischiano di creare ulteriori squilibri ai prezzi lungo tutta la catena.
I dazi imposti dagli USA ai beni importati, infatti, non arrecano un danno solo alle aziende straniere, ma anche alle aziende statunitensi importatrici poiché meno americani compreranno i beni importati e chi continuerà a comprare lo dovrà fare a prezzi più alti.
I prezzi più alti non faranno altro che scaldare l’inflazione negli USA, dove è attivo il mercato azionario più importante al mondo.
In Brasile, sorpresa positiva del 2024 in America Latina, l’inflazione elevata ha indotto la Banca centrale ad aumentare i tassi di interesse.
Anche nella Federazione Russa si registra un aumento dell’inflazione, pari al +8,8% annuo, dovuta a una economia di guerra che sta creando scarsità di beni alimentari e altri beni, ma anche alla scarsa possibilità di accedere al dollaro e all’euro che stanno portando a una svalutazione significativa del rublo nei confronti di tutte le valute globali.
Di conseguenza per i russi acquistare in Cina, diventato il principale mercato di approvvigionamento, o in Turchia (dove la lira turca nel corso del 2024 si è apprezzata di oltre il 40% nei confronti del dollaro USA), sta diventando sempre più caro.
La Germania non corre più come una volta, l’inizio della guerra in Ucraina e la conseguente perdita dell’accesso al gas russo che garantiva energia a buon mercato alle industrie tedesche ha azzoppato la crescita.
A questo scenario si è aggiunto il vuoto politico lasciato da Angela Merkel dopo 16 anni di governo. Dopo di lei non si è trovato un “erede” e infatti il 23 febbraio 2025 sono previste elezioni anticipate dopo tre anni di coalizione complicata a tre partiti.
Ma la recessione economica che sta mordendo in Germania probabilmente non è figlia solo di un approvvigionamento energetico diventato più caro per l’industria locomotiva d’Europa.
La crisi dell’automotive esplosa con l’annuncio da parte di Volkswagen di chiudere tre stabilimenti in Germania, o di ridurre del 10% lo stipendio a tutti come alternativa, segnala qualcosa di più. Un certo rallentamento innovativo che ha permesso ad altri competitor, la Cina in particolare, di avvantaggiarsi.
La crisi dell’automotive non è solo un affare tedesco, fatta eccezione per Renault tutte le case europee ne stanno risentendo.
Nel 2025 urge una riflessione ampia sulla mobilità delle persone, la quale vive una fase di profondo cambiamento. La diffusione del lavoro da casa e la maggiore sensibilità dei cittadini alle emissioni nocive li spinge a rivedere l’acquisto di un’auto nuova nel primo caso, e all’utilizzo di mezzi di trasporto nel secondo caso.
Milano Finanza ha reso noto che uno studio del Ministero dell’Economia italiano suggerisce di adottare il modello giapponese delle keicar – più piccole in dimensioni e cilindrata rispetto alle city car – per abbattere i prezzi delle auto elettriche e l’uso delle materie prime critiche per la loro costruzione.
Aggiungiamo che una spinta più rivoluzionaria, che guardasse alla possibilità di aggiornare il parco auto esistente attraverso una filiera dell’upgrade tutta da inventare, potrebbe da un lato aiutare a rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni e dall’altro rilanciare l’automotive europeo secondo un approccio del tutto unico.
Le fabbriche di auto, anziché produrre soltanto veicoli nuovi, dovrebbero essere parzialmente convertite all’aggiornamento delle auto esistenti garantendo prezzi più accessibili rispetto all’acquisto di una nuova autovettura.
Ovviamente servirebbe prima sviluppare un nuovo quadro normativo europeo.
Un interessante articolo pubblicato da MF ci spiega quale sarà il “destino” della transizione energetica nei prossimi anni. Nonostante i venti contrari, la necessità di decarbonizzare resterà.
Semplicemente gli obiettivi anziché essere raggiunti al 2050 potrebbero slittare al 2060-2070, spiegano gli analisti di Goldman Sachs a Milano Finanza.
Nell’immediato si punterà prima a quegli obiettivi e tecnologie meno costose e che permettono di remunerare prima sugli investimenti fatti. Altre tecnologie verranno rimandate a tempi in cui saranno più mature ed economicamente vantaggiose, non soltanto promettenti.
Insomma, un mondo privo di combustibili fossili è probabilmente non pensabile per i prossimi decenni. Da qui la necessità di un approccio meno ideologico e più razionale.
La cattura di CO2 crescerà in particolare per compensare le emissioni di quei settori dove è difficile elettrificare con le sole rinnovabili. E poi le bioenergie come il biometano e i biocarburanti, il primo utile per contribuire alla necessità crescente di gas naturale e il secondo come combustibile di transizione per il parco di mezzi di trasporto a motore endotermico che resterà in circolazione dopo l’affermazione dell’elettrico.
Dell’idrogeno, forse, se ne dovrà parlare di più dal 2026 – 2028 in poi. Quando alcuni progetti, come le Hydrogen valley italiane, saranno stati realizzati concretamente.
Nvidia (NVDA), Palantir Technologies, Applovin (APP), Vistra Corporation, Viking Therapeutics, sono solo alcune delle società legate a doppio filo al tema dell’intelligenza artificiale.
Dopo la crescita esponenziale degli ultimi due anni ci si domanda ora se siamo in una bolla speculativa. Il valore delle azioni di Nvidia, ad esempio, è andato ormai ben oltre il reale valore della società i cui utili valgono 50 volte in meno e i ricavi 30 volte in meno.
Basterà un piccolo inciampo trimestrale nel corso del 2025, con utili e i ricavi in diminuzione, a scatenare una correzione sul titolo e molta volatilità sui Big Tech statunitensi.
Writer freelance dal 2013 ha studiato informatica e filosofia ed anche un pizzico di sociologia. Nel 2016 ha scoperto la crypto economy e da allora scrive di blockchain e criptovalute, per approfondire un movimento che non è fatto solo di esperti matematici e crittografi, ma di gente che genera una nuova economia dal basso.