Il divario tra i due indici è destinato a salire
Lo spread tra Wti e Brent ha raggiunto valori non indifferenti.
Sono ben 11 i dollari al barile che caratterizzano il differenziale tra i due indici, il doppio rispetto al mese precedente e il record dei precedenti tre anni. Non è escluso che tale valore possa crescere.
Se da una parte un simile differenziale sorprende, dall’altra il novero dei fattori cui sia ascrivibile spiega in maniera più che adeguata la situazione contingente.
In primo luogo, non può sottovalutarsi come non sia un mistero cosa si celi dietro al trend del Brent, con la speculazione evidente in riferimento previsionale al calo dell’offerta iraniana in seguito alla sanzioni stelle e strisce.
Tale fenomeno, in stretta complementarità con la flessione del Wti, non può che acuire un frazione già di per sé importante.
Il benchmark texano è sceso a fine maggio a 68 dollari al barile, mentre il competitor europeo si innalza oltre i 78 dollari. È fuori dubbio la relazione tra la discesa del Wti con il difficile momento del comparto petrolifero americano, pesantemente danneggiato dall’ascesa del moderno shale oil, la cui corsa estrattiva ricorda quasi la febbre dell’oro del XIX secolo.
Gli Stati Uniti stanno incontrando serie difficoltà nella duplice gestione di petrolio e shale oil e non volendo e potendo operare una scelta di campo, appare probabile che il divario tra Brent e Wti possa aumentare.
È anche vero che la dorata situazione che tutti vorrebbero, vale a dire il possesso di grandi quantità di greggio, non può essere efficientemente sfruttata a causa di strutture numericamente carenti perché divise con l’impiantistica per la gestione dello shale.
Se si pensa che una grande quantità di greggio sia presente nel bacino Permiano di shale oil, si intuisce come l’applicazione della massima, ubi maior, minor cessat, in questo caso porti gli Usa a non riuscire a sfruttare completamente il proprio oro nero, né a esportarlo correttamente.
L’inefficiente sfruttamento da mancanza di strutture avrà fine, secondo le stime, tra massimo un anno e mezzo, quando l’opera di costruzione e ottimizzazione impiantistica sarà completata. Rimane comunque un lasso di tempo di rilievo.
Una situazione alquanto critica per un paese, quello statunitense, da sempre leader nella produzione, raffinazione e stoccaggio petrolifero e sempre molto attento ai rapporti con i competitor e a non lasciar nulla al caso.
Qui di casuale ovviamente non c’è nulla, ma il concreto interesse per lo shale oil ha costituito un elemento dalla previsione inattesa, seppur ci fosse consapevolezza della portata che un simile combustibile bituminoso potesse avere all’interno del mercato energetico.
Domani i dettagli della situazione.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.