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Il Bitcoin nel mirino di Bankitalia

Da
Lorenzo Cuzzani
Pubblicato: Dec 7, 2017, 10:51 GMT+00:00

Le remore di Via Nazionale sulla criptovaluta più famosa al mondo

Il Bitcoin nel mirino di Bankitalia

È noto come il BTC abbia attirato non poche critiche dal suo avvento nei mercati.

L’attenzione sistemica suscitata dalla valuta di Satoshi Nakamoto è ancor più focalizzata sull’alta performance che fino a oggi ha permesso a investitori e speculatori di fregiarsi di un ROI di tutto rispetto, soprattutto se si considera che la criptomoneta in questione ha superato il valore di 11.000 dollari registrando un progresso su base annua del 940%.

Non tutti vedono la componente performance come effettiva, concentrandosi più sull’elevata volatilità a doppio senso della criptovaluta, per sua natura molto sensibile a notizie e frenesie dei mercati e, per questo, rischio endemico nel mercato di riferimento.

A guidare la platea dei regolatori è Bankitalia, cui convinzione diffusa è che il Bitcoin possa portare a fenomeni di “vulnerabilità e crisi di sfiducia”.

Analizzando un simile ammonimento è possibile riflettere sulla concretezza dello stesso, pur non dimenticando come sistemi bancari e manager d’alta finanza dall’elevato tenore creativo abbiano abituato a siffatte situazioni. Non che questo giustifichi un potenziale allarme in tal senso, ma risulta quanto meno singolare come da Via Nazionale siano attenti allo status quo dopo aver destato più di un interrogativo per le posizioni in riferimento alle note vicende bancarie italiane degli ultimi anni e non solo.

In sostanza, lanciare un allarme cogente non preoccupandosi di risolvere tematiche d’urgenza in seno al proprio Paese appare più un tentativo di conformarsi alla moda del momento nello svalutare l’ambito della tecnofinanza, atteggiamento dal sapore quasi propagandistico.

Per avere una panoramica più approfondita sulle ragioni di Palazzo Koch, basta osservare quanto affermato dal vice direttore generale Fabio Panetta, il quale, in un’audizione in commissione Finanze alla Camera, ha descritto un quadro a tinte fosche sul Bitcoin, parlando di “attività, contratti vulnerabili a crisi di sfiducia che possono essere repentine”.

Usando argomentazioni ponte tirando in ballo quanto accaduto in Cina, dove le criptovalute sono state vietate, Panetta commenta sulla criticità tutta in capo al legislatore, di risolvere la questione: “Non vorrei essere nei panni di chi dovrà scrivere le norme”.

La contraditio in terminis è qui evidente perché si confuta una difficoltà strutturale nel legiferare una materia che per sua natura è esente da ogni tipo di disciplina.

È vero che un qualunque Stato di diritto non può prescindere da un intervento obiettivo e opportuno su materie di sua pertinenza, ma è pur vero che una realtà come il BTC trascende ogni sistema legale perché non pone in essere alcun evento per il quale sia previsto un divieto.

Come sempre, la ratio che guida ogni Istituzione, e la Banca d’Italia non ne è esente, si individua nell’impossibilità di tassare un quantum il quantum oggetto di transazione.

Infatti sul punto, così Panetta: “Non abbiamo nessuna visibilità sul volume delle transazioni, tranne quando vengono convertite in euro, ma queste sono solo la punta dell’iceberg”.

È evidente che un’affermazione del genere prenda le mosse da esigenze di origine fiscale.

Qui si annida il paradosso.

Il Bitcoin e i suoi fratelli sono nati e si sono sviluppati proprio per permettere a chi credeva (e crede) in una valuta alternativa di effettuare transazioni e operare in un mercato scevro della zavorra che per anni ha appesantito il mondo degli affari (rectius la burocrazia finanziaria).

È stato scelto un mercato libero a 360° e se un simile modello è stato accettato anche a livello monetario con rischi annessi e connessi e andava bene quando si permise a Soros di far crollare Sterlina e Lira e alla Svizzera di slegare il Franco, con tutte le conseguenze del caso, sembra ora anacronistico puntare il dito su uno strumento alternativo che permetta di differenziare il proprio portafoglio e di gestire il proprio capitale nella stessa maniera libera e liberale con cui si è permesso alle banche di accordarsi tra di loro e spesso fare cartello a livello di tassazione, servizi offerti e chi più ne ha più ne metta.

Da più parti si pone l’accento più che sul mancato introito fiscale derivante dall’uso della criptomoneta, sul riciclaggio (sic!) propriamente detto, permettendo a realtà criminali di fregiarsi di uno strumento che favorisca le proprie attività e consenta loro di eludere ogni tipo di misura.

Sul punto interviene il direttore di Bankitalia, Salvatore Rossi, affermando come ci sia il rischio che “la mafia del Bitcoin sostituisca quella di adesso”.

Parole condivisibili, specie se si pensa che il BTC sia stato usato più volte per perfezionare transazioni di dubbio valore nel Dark Web.

Quanto detto sopra considererebbe però solamente un lato della medaglia, ovvero la deriva negativa, non prendendo in esame l’altra faccia, ovvero quella parte di capitale che l’investitore base accumulerebbe tramite BTC e che al momento della conversione spenderebbe comunque, alimentando i consumi e creando nuova ricchezza.

Si potrebbe obiettare che quanto scritto pocanzi sia errato perché non c’è certezza di conversione di Bitcoin nella valuta del paese d’origine, ma non può sottovalutarsi come la percentuale di conversione di BTC in euro o dollari sia molto più alta rispetto a tutta quell’economia sommersa magari tenuta in altri Paesi e bloccata in attesa di scudi fiscali o manovre astruse che permettano il rientro.

Alla luce dei fatti il BTC costituisce una realtà d’investimento perfettamente legale i cui rischi sono strettamente connessi alle scelte del singolo investitore: né più né meno di un qualunque derivato o di un titolo dall’incerta operatività.

È innegabile come la legalità del BTC sia garantita da quella zona grigia presente nella maggior parte degli ordinamenti, ma è pur vero che una simile lacuna è stata il motore di sviluppo di un mercato, la tecnofinanza, che continua a crescere e a creare ricchezza.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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