Kaspersky Lab e McAfee rendono noto il livello di hacking sul Bitcoin
È storia recente come il comparto cripto sia un bersaglio alquanto pregiato per virus e hacker di tutto il mondo.
Sì perché, oltre agli innumerevoli casi di attacco a server e piattaforme globali, quello che spaventa sono i dati archiviati dai due più grandi provider di servizi antivirus sul mercato, vale a dire Kaspersky Lab e McAfee.
Secondo l’azienda guidata dall’informatico russo: “Il numero di utenti che ha subìto un attacco da parte di software malevoli per la produzione e il mining di criptovalute è cresciuto, passando da 1,9 a 2,7 milioni in un solo anno (+44,5%)”.
Per quanto riguarda invece i malware estorsivi comunemente chiamati ransomware, il cui intento è limitare la funzionalità d’accesso del dispositivo che infettano, si registra un calo di ben 30 punti percentuale: “da 2.581.026 nel biennio 2016-2017 a 1.811.937 nel 2017-2018”.
Tale flessione, benché faccia ben sperare, in realtà costituisce una criticità percentuale non da poco, in quanto trova la sua ratio nel maggiore interesse per l’attacco digitale attraverso mining, processo più semplice da attuare e quindi infettare, che espone l’hacker a un rischio minore.
A essere cinici: minimo sforzo, massimo rendimento.
Il fenomeno d’attacco è ascrivibile maggiormente alla criptomoneta nakamotiana, essendo il BTC la prima valuta digitale per capitalizzazione e anche quella il cui mining sia più sviluppato e i cui processi d’attualizzazione siano più lenti.
La problematica più annosa è da ravvisarsi nel fatto che i software preposti all’attacco (cryptominer) aggrediscano computer e smartphone senza che l’utente se ne accorga, non permettendo alcun tipo di blocco o difesa successiva o in corso d’opera.
Secondo i dati forniti da MacAfee, l’incremento percentuale di malware utilizzati per il mining è di 629 punti solo nel primo trimestre del 2018. Un aumento spaventoso se si pensa che i campioni corrotti di criptomoneta sono passati da 400.000 nel quarto trimestre 2017 fino a 2,9 milioni nel trimestre successivo.
Il che mostra un’evoluzione sistemica sia in termini di attenzione verso il mining, sia di parziale affrancamento (30% come già indicato in calce) verso altri sistemi di attacco (ransomware) il cui disimpegno sembra sempre maggiore.
Proseguendo l’analisi del fenomeno, il vice presidente e cto dell’azienda di Santa Clara, Steve Grobman, così si esprime: “Con l’aumento del valore delle criptovalute, l’andamento del mercato spinge i criminali verso il criptojacking e il furto di criptovaluta. La criminalità informatica è un’attività economica e sarà sempre l’andamento del mercato a indicare dove gli avversari concentreranno i loro sforzi”.
In parole semplici, per capire dove criptocriminali, hacker e cyberladri incentreranno la loro attività sarà sufficiente osservare la tendenza più sviluppata del momento. Quindi, più una criptomoneta accrescerà il proprio valore e il successo dell’attualizzazione dei propri blocchi, più sarà vittima e bersaglio di un movimento oscuro che si annida nel deep web e si scaglia contro investitori e aziende.
Il quadro che ne deriva appare davvero inquietante, specie se come osservato, è impossibile rendersi conto della flagranza del fenomeno criminoso.
La speranza è che con l’evoluzione della tecnologia cripto, sia anche possibile modernizzare i sistemi di prevenzione attualmente in uso, così da permettere alla tecnofinanza di determinarsi su un binario di sicurezza libera dalle ombre di ladri 3.0.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.