Non è la prima volta che un ente finanziario sconsigli di investire nella criptovaluta più famosa al mondo. Non sorprende che il colosso svizzero si
Non è la prima volta che un ente finanziario sconsigli di investire nella criptovaluta più famosa al mondo.
Non sorprende che il colosso svizzero si aggiunga alle voci fuori dal coro degli anti Bitcoin, rappresentando uno di quegli interlocutori non più privilegiati tagliati fuori da un mercato decentrato e per sua natura inaccessibile.
O meglio, inaccessibile come rendimenti normativizzati e sicuri cui ogni istituto di credito tenda e ambisca.
Così, a Jamie Dimon di J.P. Morgan, Elvira Nabiullina di CBR e chi più ne ha più ne metta, si aggiunge l’ad di Credit Suisse, Tidjane Thiam, per il quale: “Da quello che possiamo capire, l’unico motivo per acquistare o vendere Bitcoin è fare soldi. E questo vuol dire speculazione, vuol dire bolla finanziaria. Penso che con la regolamentazione attuale, la maggior parte delle banche abbia poco interesse a operare su una moneta che presenta tali rischi di riciclaggio di denaro”.
Come sempre, l’alto management finanziario dei colletti bianchi si esprime negativamente rispetto alla valuta di Satoshi Nakamoto, investendola di critiche, che annoverano tra le più gravi il veicolo del riciclaggio, la sola speculazione, la decentralizzazione selvaggia e il metodo di pagamento per compiere illeciti.
Sebbene sia palese che una valuta alternativa sia più soggetta a un utilizzo, come dire, alternativo, è pur vero che l’universo criptovaloriale spaventa Credit Suisse e affini per l’offerta alternativa che fornisce, vale a dire lo scambio di denaro e quindi la semplificazione delle transazioni.
Bitcoin e simili si pongono su un segmento valoriale che azzera le commissioni, rende più veloci le transazioni e abbatte quindi i costi, attraendo quindi una platea di soggetti interessati la cui necessità non trova fondamento nell’illecito (fenomeno perpetrato comunque e in ogni forma), ma nella necessità stessa (si guardi per esempio a Venezuela e Zimbabwe, dove la criptomoneta è usata a livello nazionale).
È paradossale come Credit Suisse si collochi in una simile posizione quando per anni le banche svizzere hanno raccolto e gestito ingenti capitali dalla natura sconosciuta protette dal segreto bancario.
Recentemente il capo degli advisor di Allianz, Mohamed El-Erian, ha sostenuto che il Bitcoin fosse una commodity, come tale più vicino all’investimento che non all’utilizzo come valuta.
Questa considerazione profusa per illuminare la riflessione sulla reale natura del BTC può essere invece ripresa per spiegare il carattere poliedrico della criptovaluta, nata come valuta alternativa e usata ora come commodity ora come strumento speculativo.
È vero, il Bitcoin può racchiudere speculazione, ma è in buona compagnia.
Il trading è per buona parte speculazione, ogni valuta del mercato Forex permette di speculare, sia nel lungo che nel breve periodo (chi compie operazioni di scalping investe sul rischio e sul tempo), la differenza è che nel Forex ci sono tasse da pagare e commissioni che non si possano bypassare.
E che dire di quando la Banca Centrale Svizzera (SNB) ha slegato il Franco Svizzero dall’Euro il 15 gennaio 2015, rimuovendo il tassi di cambio di 1,2 franchi per euro?
Non solo il mercato azionario svizzero perse il 14% in due giorni per l’impatto negativo, ma diversi investitori subirono perdine inimmaginabili proprio perché detentori di diverse posizioni sulla valuta svizzera, da sempre moneta solida, quasi di rifugio.
Non rileva sindacare in questa sede i motivi di una simile scelta d’insieme, ma se all’inizio in Svizzera era stato introdotto il tasso di cambio minimo per ragioni d’opportunità e poi con questa mossa si è voluto modificarlo per gli stessi motivi, risulta palese come le esigenze di un Paese prevalentemente bancario siano alquanto differenti dalla totalità delle necessità di un intero sistema finanziario.
Considerando come Credit Suisse sia legata a doppio filo con le politiche monetarie dello Stato in cui è stata fondata, arricchendolo a dismisura con la propria attività e ricevendo viceversa benefici, si comprende come il motivo di tanta asprezza verso il BTC sia proprio da ricercare nella difficoltà di controllo e nell’impossibilità di accentramento normativo e fiscale che le permetterebbe di accedervi aggiungendolo come ulteriore voce profitto.
Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.