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Bitcoin: per JP Morgan Chase il valore di mercato non è reale

Da
Lorenzo Cuzzani
Pubblicato: Feb 22, 2019, 17:28 GMT+00:00

L'ennesimo attacco di JP Morgan alla valuta digitale più famosa al mondo

Bitcoin: per JP Morgan Chase il valore di mercato non è reale

La comunità cripto è in subbuglio.

Un recente report diffuso da JP Morgan Chase ha alimentato il dibattito cripto tra i miners, specie quelli cinesi, contrariati dal contenuto del documento in questione.

Secondo la banca d’affari statunitense, il “corretto valore” della divisa digitale più famosa al mondo è 2400 dollari, non soglia 3900.

La ratio dietro una simile valutazione sta nella considerazione dei costi di produzione sostenuti dai minatori cinesi.

È bene andare con ordine.

Prendendo le mosse dal prezzo ufficiale del BTC sopracitato, JP Morgan sostiene che un valore così elevato sia da ascrivere al valore marginale per ogni output, vale a dire il costo di produzione per ogni unità aggiuntiva di token prodotto.

La discussione verte sul fatto che per il BTC, i minatori possono solo aumentarne il volume in un mercato dove ci sia una provvista finita degli stessi, circa 1800 Bitcoin al giorno. Quindi, anche prendendo in esame i vari player di settore, a causa della peculiare struttura della rete nakamotiana, non può esserci un costo marginale medio per l’attività di mining.

Tale argomento indebolisce la trattazione sul corretto valore del break-even.

Il report incriminato è uscito nel mese di gennaio con il titolo di “Blockchain e le Criptovalute 2019: Adozione, Prestazioni e Sfide”.

Gli analisti di JP Morgan affermano come il BTC abbia un valore intrinseco e sia da considerare come asset virtuale altamente volatile senza cespiti o flussi monetari al suo interno. Per questi motivi, lo identificano come una commodity e ne individuano il reale valore utilizzando il metodo del costo marginale.

L’analisi di JP Morgan è presto detta: “Considerando i vari hash rate (unità di misura della potenza di elaborazione della rete Bitcoin ndr) degli ultimi quattro mesi del 2018 e considerando la recente produzione di token, stimiamo che il costo medio effettivo per un minatore cinese di basso livello sia stato all’incirca di 2400 dollari per unità prodotta nel quarto quadrimestre dello stesso anno”.

Come già precisato, l’hash rate è l’unità di misura della potenza di elaborazione della rete criptovalutaria. Tale indice è rimasto stabile dal mese di novembre 2018, in quota 40 EH (esahash) per secondo o 1 quintilione di hash per secondo.

Viceversa, l’hash rate è collassato da Ottobre 2018, toccando il picco di 60 EH al secondo, dopo che alcuni minatori hanno abbandonato le proprie postazioni ed eccitato il mercato assottigliando i margini a causa della caduta del prezzo.

A suffragio della tesi di JP Morgan, secondo cui il BTC sia scambiato per un valore maggiore di quello effettivo, è un altro report finanziario. Sempre di una big four bancaria statunitense, ma stavolta di tratta di Citigroup.

Il documento in questione è stato redatto ad aprile 2018 dalla banca guidata da Michael Corbat. Secondo tale paper, il punto di break-even si attesta sui 5.500 dollari, mentre il trading nakamotiano dello stesso periodo registra un prezzo di 6.800 dollari.

Gli argomenti in questione mirano a dimostrare con convinzione che il mercato cripto, in particolar modo la componente nakamotiana, consti di un’elevata componente sperequativa. Il che indirizzerebbe verso una riflessione che punterebbe il dito in direzione di costi gonfiati, valori gonfiati, prezzi gonfiati e trading dai numeri non coerenti con il valore reale dell’asset in questione.

Veritiera o no, la disamina di JP Morgan non può non essere sottovalutata, seppur ricordando come la banca di Jamie Dimon abbia abituato a prese di posizione feroci contro la valuta di Satoshi Nakamoto.

Domani pubblicheremo la risposta della comunità mining a quanto diffuso da JP Morgan.

Sull'Autore

Lorenzo Cuzzanicontributor

Dopo gli studi in Giurisprudenza frequenta un corso in mercati finanziari fortemente orientato all’apprendimento del trading sul Forex. Il “Dealing on Foreign Exchange Market –FOREX-“ gli fornisce gli strumenti per iniziare il percorso di trader, ambito in cui è attivo con particolare attenzione alle medie mobili.

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