Il greggio in settimana si muove in rialzo chiudendo a 48,45, per un guadagno di quasi il 9%; nonostante i segnali indichino un possibile aumento del
Il greggio in settimana si muove in rialzo chiudendo a 48,45, per un guadagno di quasi il 9%; nonostante i segnali indichino un possibile aumento del prezzo del greggio, domanda e offerta segnalano che il prezzo della materia prima è troppo elevato. Da inizio anno, il petrolio è in crescita del 30%, il 18% su una proiezione annua, tutto questo in vista di possibili tagli alla produzione nel corso della riunione di fine settembre. I trader stanno solo reagendo alle notizie riportate dai media, che segnalano un aumento della produzione da parte dell’Arabia Saudita. Iran e Iraq non sono pronti a un taglio e continuano ad aumentare la produzione con costanza.
Secondo Jan Stuart, economista del settore energia per la Credit Suisse, dopo aver lasciato dal novembre 2014 che a determinare il costo di un barile di greggio fossero le dinamiche di mercato, l’Arabia Saudita potrebbe finalmente essere disposta a collaborare con i paesi produttori per porre un argine al calo del prezzo del petrolio. Quando la curva dei costi si appiattisce, il divario tra i prezzi attuali e futuri sui mercati di future tende a ridursi. Nel mercato attuale, che è in contango, questo significa che i prezzi futuri stanno scendendo rispetto al prezzo corrente, segnalando un alleggerimento dell’eccesso di offerta.
Secondo Stuart, il rally in corso è probabilmente dovuto più ai trader ribassisti del petrolio che coprono le proprie posizioni short, che ai rialzisti con posizioni long.
Secondo CNBC, nelle ultime due settimane il prezzo del petrolio è salito drasticamente in vista di un possibile congelamento della produzione da parte dell’OPEC, ma in poco credono realmente che il cartello si muoverà in tal senso, soprattutto ora che il prezzo del greggio è salito del 24 per cento solo sulla base di indiscrezioni.
L’argomento rialzista è che alcuni produttori, come l’Iraq e l’Iran, si stanno avvicinando ai limiti della propria capacità produttiva. La Libia dovrebbe recuperare parte del flusso di forniture, mentre la Nigeria soffre ancora un calo di circa 800.000 barili. Anche il Venezuela potrebbe esperire un calo della produzione, uno scenario a cui si somma l’incognita dei produttori di scisto negli Stati Uniti.