Prosegue, dunque, una tendenza che, dall’inizio di agosto, ha visto il prezzo aumentare più del 20%, rafforzando la speranza che il petrolio abbia finalmente abbandonato i minimi storici.
Tuttavia, gli analisti continuano a essere preoccupati dalla possibilità che questa sia una reazione eccessiva del mercato, specialmente perché è improbabile che i colloqui tra l’Opec e gli altri paesi produttori di petrolio possano portare alla limitazione dell’attività produttiva.
L’Arabia Saudita e la Russia, i maggiori produttori di petrolio rispettivamente all’interno dell’Opec e fuori di esse, hanno entrambe mostrato interesse a partecipare al negoziato sulla produzione.
Tuttavia, l’Iran ha ribadito la propria intenzione di riportare la produzione ai livelli precedenti alle sanzioni, rafforzando la preoccupazione che l’Incontro di Algeri non produrrà alcuna misura concreta per la stabilizzazione dei prezzi. Tale timore è soprattutto dovuto al fatto che un primo tentativo di accordo dell’Opec, durante il vertice di Doha, è fallito a causa del rifiuto dell’Iran di prendervi parte.
Poiché l’Arabia Saudita si ritirò dalla trattativa a seguito del rifiuto dell’Iran, nulla vieta che Riyad adotti la medesima strategia anche al prossimo incontro. Il crollo del prezzo del petrolio è stato particolarmente dannoso per produttori come l’Iran e il Venezuela, che necessitano prezzi elevati per i loro bilanci. Al contrario, alcuni paesi esporatori del Golfo Persico possono sostenere bassi prezzi di produzione.
Un accordo incoraggerebbe gli investitori a ritenere che due anni di eccesso di offerta stanno giungendo al termine. Alla medesima conclusione potrebbero portare i dati di questa settimana sulle riserve degli Stati Uniti. Si è, infatti, registrato un inatteso calo delle scorte sia di greggio sia di prodotti raffinati.
